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Ogni Pnrr è buono per attaccare l’aborto

L’introduzione di norme sull’aborto nel decreto legge sul Pnrr è “l’ennesimo attacco del governo alle donne”. Lo affermano Cgil e Uil, che questo pomeriggio a Roma sono in presidio nei pressi del Senato, per dire “no all’inserimento nel decreto sull’attuazione del Pnrr, già approvato alla Camera, di un articolo che favorisce la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori.

Per Cgil e Uil l’introduzione di norme sull’aborto nel provvedimento collegato al Pnrr è “l’ennesimo attacco del governo alle donne”

Il Pnrr avrebbe dovuto migliorare la condizione delle donne: incrementare l’occupazione, riservando posti di lavoro creati dai bandi pubblici in particolare alle donne e ai giovani, e aumentare i servizi pubblici a sostegno della genitorialità, a partire dagli asili nido. Nulla di tutto questo. In compenso il Governo continua nel suo intento, ormai chiaro, di attaccare la libera scelta delle donne sul loro corpo”. Per Cgil e Uil “è inaccettabile, un attacco alle donne che contrastiamo”. 

La maggioranza però non sembra sentire ragioni e conferma di voler tirare dritto. Lavinia Mennuni, senatrice di Fratelli d’Italia e componente della commissione Bilancio annuncia che voterà “convintamente a favore” dell’emendamento “al decreto Pnrr che prevede la possibilità dell’inserimento nei consultori delle associazioni che sostengano le donne nella difficile scelta in cui possano trovarsi e offrire loro sostegno affinché non interrompano la gravidanza”. A nulla sembrano valere le obiezioni dell’Unione europea che ha già chiarito l’impossibilità di utilizzare i fondi del Pnrr per sostenere iniziative che non hanno nulla a che vedere con il piano europeo. Ieri il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni ha chiarito che l’emendamento “è una legge che riguarda il Pnrr italiano, ma non ci sono finanziamenti europei coinvolti in questa iniziativa”. “In questi anni la Commissione ha pienamente sostenuto il diritto delle donne alla libera scelta”, ha aggiunto Gentiloni.

Il governo tira dritto e inserisce una norma farlocca nel decreto Pnrr per aprire le porte agli anti abortisti nei consultori

L’orbanizzazione dell’Italia continua in maniera ostinata e contraria. Il governo decide di aprire le porte dei consultori ai pro vita per mandare un segnale chiaro: la legge 194 forse – per ora – non verrà toccata ma sarà utilizzato ogni mezzo per svuotarla poi di quanto lo sia già. Mentre la Francia inserisce il diritto all’aborto nella Costituzione, mentre l’Ue inserisce l’interruzione di gravidanza tra i diritti prioritari da manutenere, mentre la Germania ricorda che le sue norme che costituiscono la base della consulenza sui cosiddetti ‘conflitti in gravidanza’ escludono la presenza di associazioni pro-vita dedicate nei centri di consulenza riconosciuti”, il governo Meloni spinge sulla famiglia così com’è intesa nel trittico con Dio e la Patria. La fotografia del momento politico sono le parole della vicedirettrice del Tg1 Rai Incoronata Boccia espresse sabato sera nel programma di Serena Bortone Che sarà e ribadite in alcune interviste nei giorni successivi: “l’aborto è un delitto, non un diritto”. Un pensiero talmente progressista da indurre Forza nuova a conferirle la tessera ad honorem per il suo “messaggio potente che dovrebbe essere diffuso e riconosciuto come un esempio di civiltà”. 

Dalla maggioranza assicurano che non cambierà nulla e viene naturale chiedersi allora che bisogno ci fosse di scrivere quell’emendamento. Nelle Case della comunità (che rientrano nella Missione 6, componente 1 del Pnrr) è già previsto che debbano trovare posto le associazioni del Terzo settore di sostegno al benessere dalla persona (Croce rossa, associazioni di familiari, ecc.). Aggiungere i gruppi anti abortisti sotto mentite spoglie è un messaggio che non ha bisogno di troppe interpretazioni. 

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Il caso Scurati accende lo scontro Lega-Fdi in Rai

Il caso Scurati in Rai come grimaldello per danneggiare gli alleati di governo. Il punto focale della censura dello scrittore in Rai – con il monologo sul 25 aprile che è stato cassato nel modo più cretino e improvvido possibile – è la nomina del nuovo consiglio di amministrazione della televisione pubblica che verrà a breve. Alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni interessa poco il dibattito sulla libertà e sull’antifascismo. La vera ossessione è difendere il direttore generale Giampaolo Rossi già pronto sulla rampa di lancio per diventare amministratore delegato. 

In casa Lega la poltrona dell’ad in Rai era ormai data per persa ma lo scivolone sullo scrittore Antonio Scurati ha riacceso le speranze. Gli uomini di Salvini imputano a Fratelli d’Italia gli insuccessi degli ultimi mesi: il crollo degli ascolti, le trasmissioni fallimentari chiuse dopo poche puntate, un piano editoriale confuso e poco convincente e perfino l’addio di Amadeus. Una serie di flop che negano in pubblico per addossare in privato alla gestione meloniana. È l’eterno gioco tra la Lega decaduta e Fratelli d’Italia regnanti, un logoramento quotidiano per erodere voti, potere e qualche posto di potere. 

La Lega sfrutta lo scivolone sul monologo di Scurati per attaccare il direttore generale Giampaolo Rossi, uomo di fiducia di Meloni in Rai

Chi è vicino a Meloni assicura che Giampaolo Rossi non si tocca. Il direttore generale è la persona di fiducia della presidente, a lui da Palazzo Chigi è partita immediatamente la telefonata per capire cosa fosse successo con Scurati nella trasmissione di Serena Bortone, a lui è arrivato l’ordine da spandere a cascata di virare la polemica sul compenso. Mentre la Lega tenta l’assalto Forza Italia – che non ama Rossi – preferisce non avventurarsi in uno scontro che finirebbe solo per indurire Meloni senza possibilità di incassare un risultato. Per questo Tajani avrebbe invitato i suoi a non entrare nella disputa accontentandosi della nomina a presidente di Simona Agnes, vicina al presidente di Forza Italia e al sempreverde Gianni Letta. 

A rischiare seriamente il posto è invece Paolo Corsini, responsabile Approfondimenti della Rai e avvezzo a uscite spericolate. È Corsini che si è immolato con una nota parlando di “compenso più elevato di quanto previsto” per il monologo di Scurati  venendo smentito in pochissimo tempo da Repubblica che ha pubblicato la lettera con sui si annullava “per motivi editoriali” il monologo sull’antifascismo. Nei corridoi della Rai confermano che è proprio Corsini ad avere letto il testo di Scurati prima di azionare la tagliola della censura. Del resto le simpatie destrorse del dirigente Rai in quota di Fratelli d’Italia sono note da tempo. Scorrere la bacheca dei suoi social è un tuffo nel passato nero tra idolatria del Ventennio, amicizie vicine al terrorismo nero. Indelebile rimane la sua conduzione ad Atreju quando usava il “noi” per parlare di Fratelli d’Italia e attaccò la segretaria del Pd Elly Schlein occupata a decidere “come vestirsi o di che colore utilizzare piuttosto che confrontarsi”. Lo scivolone Scurati potrebbe essere l’ultimo atto. È già pronta Angela Mariella, direttrice delle Relazioni Istituzionali, in quota Lega.

Per i consiglieri che verranno votati dal 21 maggio il Partito democratico vorrebbe puntare su Antonio Di Bella ma l’interessato ha fatto sapere ha fatto sapere di essere disponibile solo per il ruolo di presidente di garanzia. Il M5s punta sulla riconferma di Alessandro Di Majo. Nella Lega il redivivo Marano preoccupa per i troppi conflitti di interesse e alla fine Salvini potrebbe virare sull’ex parlamentare Federica Zanella. Tanto alla fine comanda sempre lei, sarà sempre TeleMeloni. 

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La lezione dell’Urnwa

Questa mattina Francesca Mannocchi su La Stampa scrive del rapporto Colonna, commissionato dalle Nazioni Unite a seguito delle accuse israeliane sui presunti legami del personale dell’Unrwa con Hamas. «A marzo Israele ha reso pubbliche affermazioni secondo cui un numero significativo di dipendenti dell’Unrwa sono membri di organizzazioni terroristiche. Tuttavia, Israele deve ancora fornire prove a sostegno di queste affermazioni», si legge nell’analisi del gruppo di esperti coordinati da Catherine Colonna, ex ministra degli Esteri francese. 

Nel rapporto si legge che l’Unrwa dovrebbe rafforzare il controllo sui suoi dipendenti e che Israele non ha mai mosso obiezioni sui nominativi dei lavoratori dell’agenzia, forniti in elenco a Israele fin dal 2011. 

Il furioso dibattito sull’Unrwa, come molti degli scontri che strumentalizzano le guerra, è stato superato dai bombardamenti tra Israele e Iran. Chi sfrutta le guerre per acuire le polarizzazioni politiche ha trovato altro pane per i suoi denti. Intanto l’agenzia si ritrova con i fondi tagliati (solo gli Usa contribuivano al 30% delle sue attività), i dipendenti additati come criminali e alcuni conti correnti bloccati. 178 dipendenti dell’agenzia dell’Onu sono stati uccisi e gran parte delle sue strutture sono state distrutte dai bombardamenti. 

La morale della storia sarebbe l’ennesimo invito alla cautela di fronte alle informazioni in tempo di guerra, usate come armi non convenzionali per giustificare le armi convenzionali. Ma la lezione – anche questa – non servirà. 

Buon martedì. 

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Il partito dei poveri noi

Bagheria come specchio del Paese. Nel piccolo comune siciliano qualche giorno fa è uscita la foto del sindaco uscente e ricandidato Filippo Tripoli, di Italia Viva, mentre pranzava allegro con Carmelo Fricano, detto “mezzo chilo”, un noto imprenditore bagherese arrestato il 13 settembre nell’operazione della Dda di Palermo: è considerato prestanome del boss Leonardo Greco. Accusato di associazione mafiosa ed estorsione, secondo le indagini dei carabinieri di Bagheria “mezzo chilo” era al servizio del gruppo mafioso. Secondo la procura, Fricano era a completa disposizione del capo mandamento, partecipava a riunioni riservate del clan, sosteneva economicamente i detenuti e i familiari, e all’occorrenza, si intrometteva nelle regole dettate dal sodalizio mafioso ai commercianti. Il sindaco si difende dicendo che al tempo Fricano era incensurato. In compenso ieri durante il confronto con gli altri candidati si è offeso perché un suo avversario ha osato fare domande sulla questione. 

A proposito di Bagheria il sesto candidato è Salvatore Baiardo. L’uomo che ha scontato quattro anni di carcere per favoreggiamento e riciclaggio di denaro a favore dei fratelli Graviano. Baiardo è stato da poco condannato per calunnia ai danni di Giletti, ex conduttore di Non è L’Arena su La7, per averlo accusato di aver reso false dichiarazioni al pubblico ministero riguardo all’esistenza della presunta foto, e per favoreggiamento nei confronti di Berlusconi e di Marcello Dell’Utri. Ora vorrebbe fare il sindaco con un certo “partito dei poveri”. I poveri evidentemente siamo noi che osserviamo un Paese in cui nemmeno una condanna per mafia spinge le persone a provare un minimo di vergogna. 

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Con il governo Meloni scoppiano le carceri e aumentano i suicidi

I dati del 20esimo rapporto sulla condizione dei detenuti “Nodo alla gola” presentato dall’associazione Antigone “parlano di un doppio dato tragico: da un lato un numero elevatissimo di suicidi nei primi tre mesi dell’anno, tre mesi abbondanti. Parliamo di 30 suicidi, che significa un suicidio ogni quattro giorni. Si tratta di qualcosa che dovrebbe interrogare tragicamente le istituzioni a prendere provvedimenti urgenti per affrontare il nodo dei suicidi. Ogni suicidio è un caso a sé ma quando sono così tanti ci devono interrogare”. Il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella spiega che “il secondo numero tragico è dato da quei 12milq persone in più nonostante gli indici di criminalità siano più o meno gli stessi rispetto alle potenzialità ricettive. Questo significa – possiamo con gli occhi immaginarcelo – che in una cella non c’è più spazio. Significa letti a tre piani. Significa scuole ridotte a dormitori, significa che la pena perde completamente quello che dovrebbe essere il suo senso costituzionale”.

Affollamento record: 13.500 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare nonostante diminuiscano i reati

Sono numeri spaventosi quelli presentati oggi a Roma. Nelle carceri italiane si registrano “tassi di affollamento record” con 13.500 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Al 31 marzo scorso, si legge nel dossier, erano 61.049 le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti. Nel rapporto si osserva quindi che cresce il tasso di affollamento ufficiale, che raggiunge a livello nazionale il 119,3%. I tassi di affollamento piu’ alti a livello regionale si continuano a registrare in Puglia (152,1%), in Lombardia (143,9%) e in Veneto (134,4%). Cresce pericolosamente anche il numero dei detenuti negli Istituti Penali per Minorenni d’Italia. “È l’effetto del decreto Caivano”, scrive Antigone. Alla fine del febbraio 2024 erano 532 i giovani reclusi nei 17 Ipm. Solo due mesi prima, alla fine del 2023, si attestava sulle 496 unità. Alla fine del 2022 le carceri minorili italiane ospitavano 381 ragazzi. L’aumento, in un anno, è stato superiore al 30%. Negli ultimi dieci anni non si era mai raggiunto il numero di ingressi in Ipm registrato nel 2023, pari a 1.143.

Il decreto Caivano aumenta i detenuti minorenni. Nelle carceri italiane un suicidio ogni 4 giorni, soprattutto stranieri

L’incremento della popolazione carceraria tra l’altro è inversamente proporzionale ai reati commessi che secondo i dati Istat sui delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria sono in diminuzione costante negli ultimi 9 anni. “Dal 1 gennaio al 31 luglio 2023 sono stati commessi in Italia 1.228.454 delitti, il 5,5 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una proiezione di questi dati sull’intero anno ci consente di osservare che la decrescita del crimine è ripresa”, dice Gonnella. 

Per quanto riguarda i suicidi la maggior parte – 88 – dei 100 suicidi accertati tra il 2023 e il 2024 sono avvenuti tramite impiccamento. Da qui ‘Nodo alla gola’, il nome del rapporto sui suicidi in carcere nel 2023 e nei primi mesi del 2024 presentato da Antigone. Seguono i casi di asfissia da gas (5) e le morti avvenute come esito di scioperi della fame (3). Vi è poi un singolo caso di abbruciamento, uno di asfissia da incendio e uno di soffocamento. Oltre al numero in termini assoluti, un importante indicatore dell’ampiezza del fenomeno è il cosiddetto tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero dei decessi e la media delle persone detenute nel corso dell’anno. Nel 2023 con 70 suicidi tale tasso è pari a 12 casi ogni 10.000 persone, registrando – dopo il 2022 – il valore più alto dell’ultimo ventennio. Sono 42 su 100 le persone di origine straniera che si sono tolti la vita in carcere nel 2023 e nei primi mesi del 2024 erano 42. E a proposito della tortura che per qualche membro della maggioranza non esiste “il numero totale di agenti indagati in Italia è 192, a dimostrazione della sua ragionevole capacità di impatto”, scrive Antigone. 

Leggi anche: Torture e lesioni nel carcere minorile Beccaria di Milano, arrestati 13 agenti della Polizia Penitenziaria. Uno di loro è accusato di tentata violenza sessuale nei confronti di un detenuto

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Crisi climatica, l’Europa è il continente messo peggio

La crisi climatica è già qui e l’Europa che pian piano scivola fuori dal Green deal è il continente che si sta riscaldando più velocemente con un aumento delle temperature che doppia la media globale. Sono queste le conclusioni dell rapporto sullo Stato del clima in Europa 2023 (Esotc 2023), curato dal servizio europeo di monitoraggio dei cambiamenti climatici Copernicus e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). Un documento che descrive nel dettaglio i fenomeni e le tendenze climatiche che si sono manifestati nel corso dell’anno. E rappresenta un nuovo monito ad agire per i governi di tutto il mondo.

Nel 2023 in Europa sono morte 151 persone a causa di eventi legati alla crisi climatica

A partire dal 2020 sono stati registrati i tre anni più caldi di sempre mentre i dieci anni più caldi partono dal 2007. La mortalità legata al caldo è aumentata del 30% negli ultimi 20 anni. Secondo le stime dell’International Disaster Database, nel 2023 in Europa sono morte 63 persone per tempeste, 44 per inondazioni e 44 per incendi. Le perdite economiche sono stimate in oltre 13,4 miliardi. Nel 2023, dice il rapporto, “per l’anno intero, la temperatura media della superficie dei mari in Europa è stata la più alta mai registrata”. In particolare, “a giugno, l’oceano Atlantico a ovest dell’Irlanda e intorno al Regno Unito è stato colpito da un’ondata di caldo marino classificata come ‘estrema’ e in alcune aree ‘oltre l’estremo’, con temperature marine superficiali fino a 5 gradi centigradi sopra la media”.

Secondo il Rapporto Copernicus-Omm l’Europa è il continente che si sta scaldando più velocemente

Per quanto riguarda i ghiacciai “gran parte dell’Europa ha registrato un numero di giorni di neve inferiore alla media, in particolare nell’Europa centrale e nelle Alpi durante l’inverno e la primavera”. Di conseguenza, nel 2023 l’arco alpino “ha registrato un’eccezionale perdita di ghiaccio, legata all’accumulo di neve invernale inferiore alla media e al forte scioglimento estivo dovuto alle ondate di caldo”. Così, “i ghiacciai delle Alpi hanno perso circa il 10 per cento del loro volume residuo” tra il 2022 e il 2023.

L’anno scorso è stato registrato come il sesto più caldo di sempre anche nella regione artica: “L’estensione del ghiaccio marino artico è rimasta al di sotto della media per gran parte del 2023. Al suo massimo annuale a marzo, l’estensione mensile è stata del 4 per cento al di sotto della media, collocandosi al quinto posto tra le più basse mai registrate. Al suo minimo annuale a settembre, l’estensione mensile si è classificata al sesto posto, con il 18 per cento in meno rispetto alla media”. Come se non bastasse, “le emissioni totali di CO2 dovute agli incendi boschivi nelle regioni subartiche e artiche sono state le seconde più alte mai registrate. La maggior parte dei roghi alle alte latitudini si è verificata in Canada tra maggio e settembre”.

La crisi climatica è ovviamente anche una crisi sanitaria

La crisi climatica è ovviamente anche una crisi sanitaria. Negli ultimi vent’anni – prosegue il rapporto sul clima – la mortalità legata al caldo è aumentata di circa il 30 per cento e si stima che i decessi legati alle temperature elevate siano cresciuti del 94 per cento delle regioni europee monitorate. Questa tendenza è particolarmente preoccupante, dato che in Europa si registra un numero crescente di giorni con almeno ‘forte stress da caldo’ e nel 2023 si è registrato un numero record di giorni con ‘stress da caldo estremo’”. L’International disaster database (Em-Dat) registra per l’anno scorso in Europa 63 persone morte a causa di tempeste, 44 per inondazioni e altrettante a seguito incendi. Le perdite economiche stimate sono di 13,4 miliardi di euro. “La crisi climatica è la sfida più grande della nostra generazione – osserva Celeste Saulo, segretaria generale dell’Omm –. Il costo dell’azione climatica può sembrare alto, ma quello dell’inazione lo è molto di più”. 

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L’unica cosa che sicuramente non funziona nel Pd

Se c’è una cosa di cui il Partito democratico può andare fiero è la sua costante, perfino faticosa, pluralità. All’interno dei dem – piaccia o meno – convivono anime spesso distanti tra loro, talvolta in conflitto, che rendono difficile la gestione del partito ma che allargano la platea degli elettori. Non c’è in Italia un altro partito che si prenda la briga di legittimare le diverse posizioni al suo interno, anche pagando lo scotto delle guerre tra correnti che gli avversari usano come sinonimo di disunità e debolezza.

Il pluralismo è il marchio originale del Pd, la ragione fondante della sua creazione, la più grande differenza rispetto alle forze politiche italiane: un partito che negli anni è stato guidato da segreterie differenti, a prima vista addirittura inconciliabili. Proprio per questo i dem sono visti come un’istituzione più solida delle leadership passeggere, alla stregua degli storici partiti in giro per il mondo.

Con la sua segreteria Elly Schlein ha promesso di instillare una linea politica diversa dai segretari che l’hanno preceduta. È un compito arduo perché guidare la “macchina” Pd significa mettere le mani su fili che appartengono a potentati divenuti nel tempo vere e proprie incrostazioni. Il confine tra l’instillare e l’imporre però è un passaggio stretto: manutenere il senso di comunità – seppure nuova – rinnovandone la classe dirigente e la missione è una passeggiata in una cristalleria. Non ci sono ricette facili per riuscirci. Sicuramente c’è la ricetta sbagliata già vista: personalizzare il percorso. Anche solo con un nome nel simbolo. 

Buon lunedì.

 Elly Schlein (foto Wikipedia © European Union, 2024)

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Il banchetto delle guerre: nel 2023 spesi 2.440 miliardi di dollari

Le spese militari a livello globale hanno raggiunto il livello record di 2.440 miliardi di dollari nel 2023. Sono i dati del rapporto dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), secondo cui l’incremento delle spese del 6,8 per cento su base annua è il dato più alto dal 2009, spingendo la cifra al livello più alto mai registrata dal Sipri nei suoi sessanta anni di storia.

Le spese militari a livello globale hanno raggiunto il livello record di 2.440 miliardi di dollari nel 2023

Per la prima volta gli analisti del centro studi hanno registrato un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche: Africa, Europa, Medio Oriente, Asia e Oceania e Americhe. I due Paesi ad aver speso di più sono Stati Uniti e Cina che rappresentano, rispettivamente, il 37 e il 12 per cento della quota complessiva – metà della spesa globale – con aumenti del 2,3 e del 6 per cento rispetto all’anno precedente. Il governo degli Stati Uniti ha speso il 9,4 per cento in più in “ricerca, sviluppo, test e valutazione” rispetto al 2022, nel tentativo di tutelare il primato del Paese nell’ambito della tecnologia militare. La Cina, invece, ha stanziato una quota di 296 miliardi di dollari nel 2023 per le spese militari, un dato che conferma una tendenza in atto nella prima potenza asiatica da 29 anni a questa parte.

Sipri registra il dato più alto in sessant’anni di storia. Usa e Cina sono i Paesi che spendono di più.

A seguire ci sono Russia, India, Arabia Saudita e Regno Unito, con un aumento del 7,9 per cento su base annua. La spesa militare della Russia nel 2023, dopo un anno di guerra su vasta scala con l’Ucraina, è stata superiore del 24 per cento rispetto al 2022 e del 57 per cento rispetto al 2014, quando la Russia assunse il controllo della Crimea. Con una spesa pari al 5,9 per cento del Pil, equivalente al 16 per cento della spesa totale del governo russo, il 2023 ha segnato i livelli più alti registrati dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. In un contesto di crescenti tensioni con Cina e Pakistan, la spesa indiana per la Difesa è aumentata del 4,2 per cento rispetto al 2022 e del 44 per cento rispetto al 2014, riflettendo un aumento del personale e dei costi operativi. L’aumento della spesa dell’Arabia Saudita è stato del 4,3 per cento, pari a circa 75,8 miliardi di dollari, equivalenti al 7,1 per cento del Pil: secondo il Sipri questo dato è stato alimentato dall’aumento della domanda di petrolio non russo e dal rincaro dei prezzi del petrolio dopo l’invasione dell’Ucraina.

La spesa militare di Israele, seconda dietro l’Arabia Saudita nella regione del Medio Oriente, è cresciuta del 24 per cento raggiungendo i 27,5 miliardi di dollari, trainata principalmente dall’offensiva a Gaza. L’Iran è stato il quarto Paese per spesa militare in Medio Oriente, ma con una crescita marginale (+0,6 per cento), che ha portato il totale a 10,3 miliardi di dollari. Nel 2023 l’Ucraina è diventata l’ottavo Paese per spesa militare a livello mondiale, con un aumento annuo del 51 per cento che ha portato il Paese invaso dalla Russia a raggiungere una quota di 64,8 miliardi di dollari, cifra comunque equivalente solo al 59 per cento della spesa militare russa dello scorso anno. Il più marcato aumento in termini percentuali della spesa militare nel 2023 è stato registrato dalla Repubblica Democratica del Congo (+105 per cento), seguita dal Sud Sudan (+78 per cento).

La spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni

Rete pace e disarmo sottolinea come complessivamente la spesa militare europea nel 2023 è aumentata del 16%: il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla Guerra Fredda. La spesa in Europa centrale e occidentale è aumentata del 10%, mentre in Europa orientale del 31% soprattutto a causa del conflitto in corso tra Ucraina e Russia. La spesa totale di tutti i 31 Stati membri della NATO nel 2023 si è attestata su 1.341 miliardi di dollari pari al 55% del totale.

Il Sipri evidenzia un calo di oltre il 5% nella spesa militare italiana che non appare invece nelle cifre di Bilancio ufficiali e che probabilmente deriva da trasformazioni relative al cambio di valuta e all’inflazione. “È vero che il cambio di Governo a fine, con l’avvento dell’Esecutivo Meloni, ha forse impedito il concretizzarsi di alcune decisioni di aumento. – scrive Rete pace e disarmo – Ma è altrettanto vero che le stime per il 2024 (sempre tratte dai Bilanci ufficiali dello Stato) già raccontano di un balzo simile a quello in corso in tutto il mondo: la spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni rispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2023″. Una crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’arma: sommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri Dicasteri nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli investimenti sugli armamenti.

 

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Ben svegliati

Ben svegliati. C’è voluta la coraggiosa presa di posizione Serena Bortone, conduttrice della trasmissione “Che sarà” su Rai 3, per avere l’ennesima conferma che questo governo sia fascista per tradizione, nei modi e nell’individuazione dei nemici. 

La Rai è solo una dei tanti esecutori di un mandante politico che vigliacchi e stolti insistono nel dipingere come destra liberale

La censura nei confronti di Antonio Scurati ha la stessa cifra del boicottaggio nei confronti di Roberto Saviano, del trattamento riservato a due uomini di lettere come Marino Sinibaldi e Nicola Lagioia, in quella stessa trasmissione è stata censurata (con molto meno rumore, purtroppo per noi) anche la scrittrice Nadia Terranova, lo stesso violento attacco personale l’ha subito la scrittrice Valentina Mira.

È la stessa violazione di libertà di espressione che sta nelle decine di querele di esponenti della maggioranza di governo nei confronti di quotidiani come Domani. Personalmente a La Notizia ho ricevuto negli ultimi 12 mesi più della somma delle querele governative ricevute in 30 anni di scrittura. 

È la stessa bile nera che ha bollito Michela Murgia fino ai suoi ultimi giorni di vita. È lo stesso spirito nero che nel 2023 ha prodotto una circolare rivolta ai Centri di cultura italiana in cui comparivano i nomi degli intellettuali da non invitare. La radice è sempre la stessa.

Non è stata la Rai a censurare Scurati, crederlo è da ingenui. La Rai è solo una dei tanti esecutori di un mandante politico che vigliacchi e stolti insistono nel dipingere come destra liberale. I leghisti tra di loro chiamano i meloniani “fascisti”. Qui fuori ancora si scrive del presidente (chiamandolo al maschile) di un governo di centrodestra. Forse è giunto il tempo di svegliarsi, anche per i comodi che convinti che non toccherà mai a loro. 

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Riparte la gara a scaricare Draghi salvatore Ue. Almeno fino alle elezioni

La bolla Draghi, per ora, si è sgonfiata. Il discorso di La Hulpe, pronunciato dall’ex presidente della Bce martedì scorso, aveva intensificato i rumors che lo vorrebbero alla testa dell’Europa, alla Commissione o come successore di Charles Michel. Il solluchero dei giornali e degli opinionisti è eruttato dopo mesi in cui ha dovuto rimanere dormiente. Solo che l’ipotesi Draghi in Ue, come qualsiasi fatto politico che non si riduca a bastonare i bastonabili, sconquassa la maggioranza di governo e la presidente del Consiglio Meloni annuncia la ritirata fino alle prossime elezioni per il Parlamento di Bruxelles. 

Così alla premier non resta che allontanare il fantasma di Draghi e puntare sul “cambiamento”. “Spero che quando ci incontreremo saremo di fronte ad un’Europa diversa”, ha detto la leader di governo, aggiungendo che “quello che mi interessa è che sia Draghi che Enrico Letta, che sono considerati due europeisti, ci dicano che l’Europa va cambiata”. La strategia è quella di continuare ad appoggiare la commissaria uscente Ursula von der Leyen (ma a ben vedere anche su di lei Meloni e Salvini sono spaccati) picchiando sui temi che uniscono il governo italiano e quello europeo: l’immigrazione, i rimpatri, il fantomatico Piano Mattei che entrambe sventolano come sviluppo tacendo la voglia di fortificazione dei confini. Se von der Leyen si schianterà all’interno del suo partito (non improbabile) o sullo scacchiere internazionale la presidente del Consiglio italiana potrà giustificarsi dicendo di avere semplicemente operato per l’autorevolezza internazionale dell’Italia. Tempo per virare su Draghi ce ne sarà, anche dopo le elezioni. Meloni ha già ampiamente dimostrato abilità nel ricoprire posizioni che smentiscono ciò che dichiarava fino a poco tempo prima. Sarebbe un’ennesima prova. 

Giorgia Meloni batte in ritirata. Appoggiare Draghi prima delle elezioni per Bruxelles non conviene quasi a nessuno

La preoccupazione maggiore è che gli affezionati di Draghi non stanno nel campo destro dei partiti. Al centro – anzi, nei centri – Calenda e Renzi lo hanno trasformato in un feticcio politico, pronto da stampare sulle magliette. Nel Partito democratico piace molto solo alla minoranza del partito e non coincide con la svolta che vorrebbe imprimere la segretaria Elly Schlein. Nel Movimento 5 stelle Draghi è l’incarnazione della caduta del secondo governo Conte, il risultato delle manovre di palazzo che hanno aperto la strada alla destra. Per Alleanza verdi e sinistra l’ex presidente della Bce è un avversario politico sui temi economici e viene considerato inaccettabile. 

A Bruxelles si discute anche se siano più importanti i leader o gli aspetti decisionali che l’Ue ha voluto darsi. Come scrive Roberto Castaldi su Euractiv “se Draghi venisse proposto come Presidente della Commissione sarebbe un colpo forse mortale al sistema degli Spitzenkandidat, cioè la proposta di un candidato alla Presidenza della Commissione da parte dei vari partiti europei in vista delle elezioni europee”. La riflessione tra i gruppi europei è la candidatura di un uomo lontano dai partiti e con ruoli dirigenziali di punta nell’economia possa aumentare ancora di più l’idea delle istituzioni europee come lontane e autoreferenziali nei meccanismi di scelta della classe dirigente. 

Intanto il principale guastatore italiano di Draghi, quel Salvini che pure con Draghi ha governato, in un’anticipazione del suo libro lancia un’accusa pesante: nel luglio 2022, scrive il leader della Lega, ci furono pressioni da parte di Emmanuel Macron e Angela Merkel su di lui e su  Berlusconi per tenere Draghi a Palazzo Chigi. A proposito di trasparenza democratica Ue. 

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