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Dilaga un’altra guerra a Gaza. Al New York Times va in stampa il negazionismo

Il sito d’inchiesta The intercept ha scovato una comunicazione all’interno della redazione del New York Times rivolta ai giornalisti che si occupano della guerra tra Israele e Hamas in cui si invita a non usare i termini “genocidio” e “pulizia etnica” e ad “evitare” di usare la frase “territorio occupato” quando si descrive la terra palestinese. Il memorandum istruisce anche i giornalisti a non usare la parola Palestina “tranne in casi molto rari” e ad evitare il termine “campi profughi” per descrivere le aree di Gaza storicamente colonizzate da palestinesi sfollati espulsi da altre parti della Palestina durante le precedenti guerre israelo-arabe.

I giornalisti del New York Times che si occupano della guerra a Gaza sono stati invitati a non usare i termini “genocidio” e “pulizia etnica”

Le aree sono riconosciute dalle Nazioni Unite come campi profughi e ospitano centinaia di migliaia di rifugiati registrati. Fingere un dibattito democratico anestetizzando il linguaggio non è una novità in tempi di guerra. Siamo cresciuti per anni con i missili intelligenti, come se si potesse intelligentemente lanciare missili e abbiamo avuto modo di assaporare l’esportazione di democrazia come vestito buono della guerra.

Tornando al NY Times forse vale la pena ricordare che i termini “genocidio” e “pulizia etnica” sono piena responsabilità di coloro che da anni (mica da ora) li pronunciano argomentando la propria scelta. Si può essere d’accordo o meno. Se ne dibatte, appunto, non si cancella. Ma l’enorme malafede sta nel vietare il termine “territorio occupato” che riflette esattamente lo status giuridico di Gaza e della Cisgiordania nel diritto internazionale. Il NY Times decide di stare dalla parte degli estremisti e dei negazionisti. L’importante è che questo sia chiaro.

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