Rosa ha diciassette anni. Ha smesso di contare i giorni nel momento esatto in cui il lockdown si è insediato dentro di lei, trasformando le mura di casa in una trincea e le giornate in un rituale sempre uguale. Esce raramente, e quando lo fa, il mondo le sembra meno reale di una chat su Telegram. Ha un sogno – visitare Londra con la sua migliore amica – ma per ora rimane una fantasia, una scintilla che si accende e si spegne con il tremore delle sue mani. ADHD, disturbo dell’umore, ansia sociale: le diagnosi si accumulano, come pezzi di una storia che non è solo sua.
La povertà che scolpisce il futuro
Rosa è un simbolo. Un volto tra i tanti raccontati dal rapporto *Non sono emergenza*, promosso dall’impresa sociale *Con i Bambini* e dalla Fondazione Openpolis per la Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza che cade il 20 novembre, che fotografa l’infanzia e l’adolescenza nell’Italia del post-pandemia. È una fotografia cruda, fatta di numeri che pesano come macigni. Nel 2023, il 13,8% dei minori viveva in povertà assoluta: quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi intrappolati in un presente che non fa sconti. È il dato più alto mai registrato dal 2014, segno che la pandemia non ha solo amplificato le disuguaglianze, ma le ha scolpite nel tessuto sociale del Paese.
La povertà materiale è solo la punta dell’iceberg. Il rapporto evidenzia come il disagio minorile abbia radici più profonde: culturali, educative, relazionali. Durante la pandemia, la dispersione scolastica implicita – ragazzi che frequentano ma non imparano – ha raggiunto livelli allarmanti. Nel 2022, il 12% degli studenti provenienti da famiglie svantaggiate ha completato il percorso di studi senza acquisire competenze di base. Nonostante un leggero miglioramento, nel 2024 il 44% dei maturandi non raggiunge standard adeguati in italiano e il 47,5% in matematica. Dati che, come sottolinea il rapporto, rivelano “una crisi educativa di lungo periodo, legata non solo alla pandemia, ma a disuguaglianze strutturali”.
Solitudine e resilienza: il peso di crescere oggi
Ma è la solitudine, forse, la ferita più profonda. Nel 2023, meno di un terzo dei ragazzi tra 11 e 17 anni dichiarava di vedere i propri amici ogni giorno. Una generazione fa erano il 70%. L’emergenza sanitaria ha solo accelerato un declino già in atto: le relazioni si sono trasferite online, gli abbracci sono diventati emojii. Tra gli 11-17enni, il 2,5% presenta dipendenza da social media, mentre quasi 66 mila ragazzi hanno manifestato una tendenza all’isolamento sociale, il fenomeno degli *hikikomori*.
Poi ci sono le ragazze. Sono loro, spesso, a pagare il prezzo più alto. Il 9,3% dei giovani tra 11 e 17 anni è a rischio grave di dipendenza da cibo: 373 mila adolescenti, per la maggior parte ragazze, che combattono contro un’immagine di sé che non sentono mai adeguata. Gli accessi al pronto soccorso per disturbi alimentari sono aumentati del 10,5% rispetto al 2019, un dato che il rapporto definisce “indicativo di un malessere sistemico”.
Eppure, in questo scenario fatto di ombre, c’è anche una luce. Come nota il rapporto, “i giovani non sono solo vittime di un sistema disfunzionale, ma protagonisti di un cambiamento possibile”. Il 6,8% dei ragazzi tra 14 e 17 anni nel 2023 ha partecipato ad attività di volontariato, un dato in crescita rispetto al 2021. Tra i 15 e i 24 anni, quasi due giovani su tre si dichiarano molto preoccupati per il cambiamento climatico, più della media della popolazione adulta.
C’è un messaggio che emerge, potente, dal rapporto: il disagio minorile non si risolve con soluzioni emergenziali o paternalistiche. Serve un cambiamento di prospettiva. Serve, come sottolineano gli autori, “una narrazione che parta dai giovani, dai loro bisogni e dalle loro esperienze, coinvolgendoli attivamente nelle politiche che li riguardano”.
Rosa, con il suo biglietto per Londra, non è solo un caso. È una storia, una voce, un futuro che ci riguarda tutti. La sua vita, come quella di tanti altri, ci chiede una cosa: ascolto. E l’ascolto, come la cura, non è mai un atto emergenziale. È un progetto. Un impegno. Un modo di dire che sì, ci importa.
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