L’anno scorso a Dubai per la Cop28, l’annuale incontro sul clima delle Nazioni Unite, si è registrata la presenza record di 2.456 lobbisti del settore fossile, la delegazione più folta di tutta la conferenza, con accrediti provenienti direttamente dai governi, Italia compresa. Al momento, non sono disponibili dati ufficiali sul numero di lobbisti accreditati alla Cop29 di Baku. Si attende la pubblicazione dei dati ufficiali per valutare l’entità della loro partecipazione e l’eventuale impatto sulle negoziazioni in corso ma è lecito pensare che il numero sia cresciuto ancora.
L’invasione dei lobbisti fossili: chi rappresentano davvero?
Naturalmente, il fatto che anche quest’anno la Cop si svolgerà in un Paese grande esportatore di petrolio e gas lascia presagire una partecipazione importante di aziende energetiche. Clean the Cop, una campagna nata in Italia, denuncia questo cortocircuito tra politica climatica e interessi dei grandi inquinatori: “È come invitare i piromani a scrivere una legge contro gli incendi,” tuonano gli scienziati firmatari dell’appello.
Il cuore della questione non è solo il numero di presenze, ma chi queste persone rappresentano. Parliamo di colossi energetici le cui attività legate al petrolio e al gas sono in aperto contrasto con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Eppure, questi stessi attori sono stati accreditati dai governi per “negoziare” alle Cop, in una contraddizione che evidenzia un’incoerenza politica profonda e preoccupante.
Gli scienziati sono i primi a insorgere: chi dovrebbe proteggere la salute planetaria, insistono, non può concedere le chiavi delle trattative a chi ha tutto l’interesse a sabotarle. E il loro grido d’allarme non cade nel vuoto: a Roma, oltre 30 ricercatori e accademici hanno firmato l’Appello della campagna Clean the Cop, chiedendo al governo di fermare questa presenza invadente e dannosa.
Per Michele Vannucchi di Openpolis, “il governo ha il diritto di invitare chi ritiene, ma deve rispondere ai cittadini”. La responsabilità di garantire trasparenza su chi rappresenta l’Italia a queste conferenze è ormai inderogabile. Se i rappresentanti dei combustibili fossili hanno ottenuto un lasciapassare dal governo, chi vigila che questi stessi soggetti non influenzino in modo indebito le decisioni prese?
I numeri non lasciano dubbi: mentre l’emergenza climatica si aggrava, l’invasione dei lobbisti è un fenomeno in crescita esponenziale. Dalla Cop26 del 2021, con circa 500 lobbisti presenti, alla Cop28 di Dubai, questo numero è quintuplicato, segnando un sinistro record. Le voci critiche si moltiplicano, e le associazioni ambientaliste insistono che la politica climatica non può più essere dettata da chi ne ostacola l’implementazione per profitto.
La denuncia di Clean the Cop: una richiesta di trasparenza
Clean the Cop non si limita alla denuncia. In Italia, associazioni come A Sud, Greenpeace e ISDE chiedono un netto cambio di rotta, un “ripulisti” che separi finalmente la politica climatica dagli interessi dei giganti del fossile. L’Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico hanno promesso sostegno in Parlamento: “Una campagna come questa è necessaria e va sostenuta in tutti i modi,” dichiara Filiberto Zaratti.
Non si tratta solo di una questione simbolica, ripetono gli organizzatori: dalla Cop29 di Baku fino alla Cop30 di Belem, in Brasile, Clean the Cop continuerà a monitorare e denunciare. Se i governi vogliono davvero affrontare la crisi climatica, devono rinunciare alla complicità dei grandi inquinatori, escludendo i lobbisti del fossile dalle stanze dove si decidono i destini del pianeta.
Come spiega l’associazione A Sud: “La denuncia è rivolta al governo Meloni, visto che nel 2023 per la Cop28 di Dubai il badge alla stragrande maggioranza dei lobbisti nostrani è arrivato direttamente dal governo italiano. Secondo i dati delle Nazioni Unite, alla scorsa conferenza sul clima il governo è stato il principale “sponsor” del settore oil&gas nazionale”.
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