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Complimenti Europa, la nuova Libia è la Tunisia. Il rapporto-denuncia di Alarm Phone

Come previsto la Tunisia ha imparato presto a fare la Libia. Il nuovo rapporto di Alarm Phone, realizzato in collaborazione con attori della società civile tunisina, ci porta dentro un oscuro panorama di abusi e pratiche illegali perpetrate dalla Guardia Nazionale tunisina contro i migranti in fuga.

La collaborazione invisibile

Nel contesto di criminalizzazione e repressione crescente, documentato da Alarm Phone, il rapporto rivela come le politiche di esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea abbiano trovato un alleato inaspettato nella Tunisia. Sostenuta economicamente e logisticamente dall’Europa, la Tunisia è diventata il confine marittimo d’Europa, un guardiano di ferro che agisce con brutalità su mandato altrui.

Dal 2021 al 2023, 14 interviste approfondite con sopravvissuti raccontano una realtà fatta di non-assistenza, manovre intenzionali per far capovolgere le barche, e attacchi fisici. Le testimonianze raccolte mostrano un quadro di violenza sistematica: “I bambini sono tutti morti. Gli agenti ci guardavano morire senza muovere un dito”, racconta Maria, una sopravvissuta che ha perso il figlio di un anno e tre mesi durante una di queste operazioni di respingimento.

Ali e Maria, il 10 luglio 2021, descrivono un attacco crudele in cui la Guardia Nazionale ha speronato la loro imbarcazione, causando il ribaltamento e la morte di 29 persone, inclusi tutti i bambini a bordo. “Abbiamo obbedito, ma la Guardia ha fatto una rapida inversione e ha colpito la nostra barca,” ricorda Ali. “Tutti sono caduti in acqua. Alcuni avevano giubbotti di salvataggio, ma molti non sapevano nuotare e sono annegati.”

Un mare di morte e silenzio

Le operazioni della Guardia Nazionale tunisina, sostenute e armate dall’Ue, non solo sono illegali ma letali. Le manovre pericolose, l’uso di armi e la rimozione dei motori dalle barche in difficoltà sono pratiche comuni. Ali, che ha visto la propria imbarcazione affondare dopo essere stata speronata, descrive un’esperienza di disperazione: “Siamo stati spinti a riva. I soccorsi non sono arrivati, abbiamo trovato i corpi dei nostri amici da soli”.

Il rapporto denuncia anche l’ipocrisia delle retoriche umanitarie dell’Unione Europea. Il pretesto di “salvare vite” è un velo sottile per nascondere obiettivi di sicurezza e controllo. La retorica del salvataggio si scontra con la realtà di pratiche mortali, come evidenziato dalla testimonianza di Fatoumata, che ha visto suo fratello e i suoi due nipoti annegare sotto lo sguardo indifferente della Guardia Nazionale.

Katie, il 18 maggio 2022, descrive come i guardacoste tunisini abbiano circondato la sua barca per tre ore, creando onde che minacciavano di rovesciarla. “Quando hanno visto che non riuscivano a farci affondare, hanno finalmente smesso e ci hanno indicato la direzione del porto di Zarzis,” ricorda. La situazione di Georges, il 29 agosto 2022, è ancora più cruenta: “Hanno minacciato di spararci e uno dei miei fratelli ivoriani ha ricevuto una coltellata alla testa.”

Una politica di complicità

L’Europa, nel suo tentativo di chiudere le rotte migratorie, ha alimentato una spirale di violenza e morte. Il memorandum d’intesa firmato tra l’Ue e la Tunisia nel 2023 è solo l’ultimo atto di una lunga storia di cooperazione nell’esternalizzazione dei confini. Come sottolinea Alarm Phone, “queste politiche non fermano i flussi migratori, ma li rendono più pericolosi.”

Il rapporto fa luce anche sull’aumento delle deportazioni verso il deserto, una pratica disumana che espone i migranti a condizioni estreme e spesso letali. Issouf e Oumar, il 21 marzo 2023, descrivono come le loro barche siano state deliberatamente rovesciate dalla Guardia Nazionale, causando almeno 6 morti. “Abbiamo urlato per chiedere aiuto, ma loro guardavano solo da lontano”, racconta Oumar.

Fatoumata, il 23 marzo 2023, racconta di come la Guardia Nazionale abbia colpito il capitano della sua barca con una barra di metallo, causando il capovolgimento e la morte di 15 persone, inclusi i suoi parenti stretti. “Hanno guardato noi annegare prima di tirarci su sulla loro barca”, ricorda, sottolineando l’indifferenza disumana dei soccorritori.

Un appello alla solidarietà

In questo mare di dolore, la solidarietà transnazionale emerge come un faro di speranza. Nonostante la repressione, gli attivisti di Alarm Phone e della società civile tunisina continuano a organizzarsi, a denunciare le politiche razziste e assassine e a difendere il diritto alla libertà di movimento per tutti.

Lami, il 1° aprile 2023, descrive come la Guardia Nazionale abbia rimosso il motore dalla sua barca, lasciandoli alla deriva per ore prima di essere salvati da pescatori locali. “Siamo stati in acqua per più di tre ore senza motore,” racconta, un’esperienza che evidenzia la noncuranza per la vita umana.

Mamadou, il 23 aprile 2023, testimonia come la Guardia Nazionale abbia ignorato le richieste di soccorso, portando alla morte di 25 persone. “Abbiamo chiamato la Guardia Costiera per chiedere aiuto, ma ci hanno detto che non stavano lavorando,” racconta, illustrando una situazione di abbandono e disumanizzazione.

Il Mediterraneo centrale, teatro di tante tragedie, è anche il luogo dove si gioca una battaglia di diritti e dignità umana. E mentre l’Europa continua a blindare i suoi confini, la lotta per la giustizia e la libertà di movimento non si ferma.

Le voci invisibili dei migranti che hanno il coraggio di testimoniare sono fondamentali per abbattere l’immagine di ‘vittime’ che spesso viene loro attribuita. Son racconti di tenacia e di coraggio di lottare per i propri diritti. Il mare di sofferenza e morte che attraversano è anche un mare di resistenza e speranza.

Alarm Phone, insieme alla società civile tunisina e transnazionale, assicura che continuerà a documentare le pratiche violente della Guardia Nazionale tunisina e di tutte le altre autorità coinvolte nelle intercettazioni e nei respingimenti nel Mediterraneo. “Denunciamo questo regime repressivo di controllo della mobilità e le politiche di outsourcing che lo permettono e lo incoraggiano”, scrive l’Ong. 

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