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Ministero del Made in Algeria

Il ministro che ha voluto un ministero chiamato Made in Italy ovvero Francesco Lollobrigida, cognato d’Italia e della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, aveva promesso di difendere “il sovranismo alimentare”, qualsiasi cosa significhi. Il ministro del Made in Italy ha firmato nei giorni scorsi un patto con l’Algeria all’interno del cosiddetto Piano Mattei – qualsiasi cosa significhi – in cui si prevede la concessione di 36mila ettari in Algeria alla società Bonifiche Ferraresi che li rigenererà per la coltivazione di cereali e legumi. Spesa stimata: 420 milioni per creare una filiera produttiva completa, dalla semina alla lavorazione dei prodotti agricoli, e rafforzare la sicurezza alimentare locale. Solo che secondo i dati del 2023, lo stipendio medio mensile in Algeria è di circa 300 euro, mentre in Italia è intorno ai 1.600 netti. Il prezzo dell’elettricità per uso industriale in Algeria è di circa 0,03 euro per kilowattora (kwh), contro gli 0,18 euro per kwh in Italia. Se a questo aggiungiamo i soldi che l’Italia cede come investimento lo squilibrio che preoccupa gli operatori del settore è presto fatto.

Gli agricoltori italiani infatti temono che se da un lato questa iniziativa potrebbe rappresentare un modello virtuoso, dall’altro rischia di creare una concorrenza sleale: il costo inferiore della produzione in Algeria potrebbe spingere i prezzi verso il basso, rendendo difficile per i produttori italiani mantenere i margini di profitto. Concorrenza sleale, dicono a bassa voce, per di più finanziata con soldi di Stato. Una settimana fa il ministro ha promesso di intervenire stabilendo un “costo medio di produzione”, cioè quanto un imprenditore agricolo spende per produrre un determinato bene: “Quando c’è un contratto di vendita – ha spiegato il ministro – in cui il prezzo scende sotto il costo medio di produzione c’è un controllo delle forze dell’ordine e degli ispettori”. Chissà se li spediranno anche ad Algeri.

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