Francesco Piccolo per il Corriere della Sera scrive del film The Artist ma, soprattutto, di coloro erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno:
Tutti, tutti almeno una volta alla settimana sentono di dover comunicare al mondo di sentirsi estranei al presente. Tutti, insomma, hanno una gran voglia di sentirsi incompresi e isolati come The Artist. Ovviamente in questo elenco disordinato e parziale ci sono valori oggettivi (e non parlo solo di Platini). Però poi se si ragiona così si finisce per fare film sulla bellezza del passato, e per giunta per farli come si facevano in passato. E poi questo film fa sciogliere in lacrime chi va a vederlo. Ed è proprio questa la novità — mi sembra: finora, abbiamo assistito a una pressione logica delle idee reazionarie; più spesso, a una veste irrazionale, poco comprensibile ma di cui bisognava prendere atto. Questo film fa un passo ulteriore: è costruito per coinvolgere lo spettatore complice sul piano emotivo. È la prima opera-manifesto che seduce i reazionari emotivamente, che li fa commuovere al pensiero di se stessi e delle proprie lotte.
Tutti (o quasi tutti) quelli che pensano e riflettono e vanno ai festival culturali e scrivono libri e li leggono, in questi anni, credono sia loro dovere fare resistenza al nuovo. Il ceto medio riflessivo, sul quale abbiamo fatto affidamento per la ricostruzione di un Paese civile e innovato, pensa che la soluzione sia semplice: opporsi alle tecnologie, non concedere al nemico (il progresso) nemmeno un centimetro del territorio (la conservazione del passato). Del resto, a dirla tutta, anche Franzen scrive romanzi bellissimi, il cui unico difetto sta nel fatto che tendono (consapevolmente) a sembrare dei romanzi alla Zola. Ma pare che questo sia proprio il suo pregio. Tutto bene, tranne per due cose: il fatto che il ceto medio riflessivo, gli intellettuali che lo rappresentano, mia zia e Franzen erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno. E la seconda: ma noi tutti, qui, nel presente, allora, cosa ci stiamo a fare?