Mi ha molto turbato la vicenda del quindicenne suicidatosi (si dice) per la frustrazione dovuta all’ironia sulla sua omosessualità. La regola del buon blogger e dell’opinionista sempre sul pezzo comanderebbe di costruirci subito un opinione dopo avere letto i primi lanci di agenzia, tipo “fast news” da pagare alla cassa del seguito e del consenso. Sarebbe bastato leggere il resoconto della deputata Paola Concia che ha incontrato i compagni di classe del ragazzo per capire che le semplificazioni (anche quelle giornalistiche) in questi casi rischiano di essere dannose.
Poi ovviamente oggi si titola che “la rete uccide”, che “i social sono troppo pericolosi” e tanto altro sulla stessa linea. Come scrive Fabio Chiusi sul suo blog:
E quindi, è il passo ancora successivo, sceglierebbero l’unica strada possibile: i filtri preventivi. Con questo non si vuole minimizzare o banalizzare il problema del cyber-bullismo, degli insulti che alimentano spirali di disperazione la cui profondità è insondabile a chiunque non ne sia mai stato almeno sedotto. Si vuole semplicemente – e banalmente – dire che «la Rete» non uccide nessuno, che sono le persone a farlo. Che prima di emettere sentenze bisognerebbe cercare, con molta umiltà, di capire. E che, specie in casi delicati come questi, le esigenze giornalistiche dovrebbero lasciare il passo al rispetto per l’umanissima complessità dei fatti.
Perché quando non sono più le persone ad essere il soggetto dell’analisi e dell’opinione la cautela è un dovere morale.