Una riflessione di Walter Giannò sui don Panino nostrani:
A Palermo, da molti anni, sulle bancarelle che s’incrociano spesso per il centro e nei negozi di souvenir per turisti, accanto a pupi e carretti, non è affatto difficile trovare oggetti che ricordano ai visitatori di essere nella “capitale della mafia“.
Gli esempi sono vari: magliette con l’effigie de “Il Padrino“, statuette di mafiosi con la lupara in mano o altre che fanno esplicito riferimento all’atteggiamento delle “tre scimmiette“: non vedo, non sento, non parlo, ecc.
Lo stesso Rosario Crocetta, quand’era sindaco di Gela, nel 2009 disse che era un’oscenità “fare business sfruttando la parola mafia o le immagini del Padrino: è una delle cose più volgari che siano mai state pensate. Non si può scherzare su un fenomeno come quello della criminalità organizzata“.
Tuttavia, nonostante sia passata tanta acqua da sotto i ponti, in Sicilia si continuano a vendere ai turisti ricordi che fanno esplicito riferimento a cosa nostra.
Insomma, legittimo adirarsi per i menù che banalizzano volgarmente Giovanni Falcone e Peppino Impastato.
Però, bisognerebbe azionare come si deve il meccanismo dell’indignazione anche per quanto ogni giorno capita in Sicilia, soprattutto in un settore fondamentale come quello del turismo.
La Regione e i Comuni dell’Isola – assai bravi con le parole quando c’è da difendere l’immagine della Sicilia oltre lo Stretto di Messina – perché non cominciano a battagliare contro l’uguaglianza Sicilia = mafia nelle strade principali di Palermo?
Il resto è qui.