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La mafia e i cavalli di Mangano. Ancora.

La Direzione distrettuale antimafia di Milano colpisce la mafia in ciò che le sta più a cuore: il denaro. E lo fa con il maxi sequestro di 124 immobili, tre società e 81 conti correnti gestiti, per l’accusa, da due professionisti: i fratelli Rocco e Domenico Cristodaro, 47 e 43 anni, di origine calabrese, che gli investigatori ritengono i ‘contabili’ della famiglia Mangano.

L’operazione, condotta da guardia di Finanza, squadra mobile e carabinieri, è la diretta conseguenza di quella che nel settembre scorso portò all’arresto del genero e della figlia di Vittorio Mangano e all’iscrizione dei due professionisti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Così gli investigatori hanno eseguito un sequestro a fini di confisca di appartamenti, denaro, ma anche orti, appezzamenti di terreno, frutteti, maneggi e un’azienda agricola a Crema, la ‘Fazenda Rocco’. Qui, i finanzieri, oltre a scoprire ampi uffici arredati in modo lussuoso con stile spagnolo, hanno trovato una sorta di zoo: cammelli, zebre, lama, antilopi, oltre ad animali comuni che erano tenuti nella massima cura. E, in un locale, alcune magnifiche carrozze antiche.

I fratelli Cristodaro sono titolari di due studi di consulenza contabile a Milano e in provincia di Cremona e sono appunto sospettati di essere i reali proprietari e gestori del patrimonio accumulato nel corso degli anni grazie all’attività del clan dei Mangano.

Il provvedimento di sequestro è stato emesso dalla sezione delle misure di prevenzione del tribunale di Milano, su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, a capo della Dda, e dal pm Alessandra Dolci ed ha portato al sequestro di beni a Milano e in provincia di Biella per un ammontare di oltre cinque milioni di euro.

I due fratelli Cristodaro erano già finiti nel mirino di indagini condotte da varie forze di polizia, tra le quali i finanzieri della tenenza della guardia di Crema. I militari cremaschi aveva individuato un reticolo di società riconducibili ai due professionisti che erano state usate per una frode fiscale da 128 milioni di euro di base imponibile evasa e fatture false per oltre 94 milioni. Operazioni che, secondo gli investigatori, servivano per riciclare il denaro che proveniva dalle attività illegali e che poi era nuovamente messo a disposizione delle organizzazioni criminali.

Del resto, sottolineava il gip nell’ordinanza che portò in carcere Cinzia Mangano, la figlia del boss defunto, in Lombardia siamo di fronte a una “mafia imprenditoriale”. “L’associazione contestata corrisponde alla mafia imprenditoriale – scriveva il magistrato – cioè  a un’associazione che si avvale della forza dalla storia e dalla fama della realtà criminale a cui appartiene… non per realizzare in via esclusiva evidenti azioni illegali, bensì per entrare nel tessuto economico della zona d’appartenenza e trarne un beneficio economico”.

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