Che bello accorgersi di condividere l’attesa. Un libro in uscita è un “sabato del villaggio” di qualche settimana e succede che per chi l’ha scritto, credo che succeda a tutti ma di sicuro succede a me, adesso, in fondo è un libro finito: la differenza tra il mio fare teatro e un libro, che è una differenza che amo percorrere, è che se uno spettacolo non sale sul palco, nel senso che salga con me e io con lui, per farlo, uno spettacolo finché non sale su un palco non esiste, è solo un progetto mentre un libro prima che sia pubblico è già stato scritto.
Certo, si potrebbe dire che anche lo spettacolo è pronto perché finito, finito pronto per andare in scena ma per la mia esperienza, che è un’esperienza solipsistica facendo solo monologhi, cioè per quello che è sempre successo a me, uno spettacolo cambia per il pubblico, cresce con il pubblico e diventa spettacolo quando ormai ha tutti gli ingranaggi oliati dalle volte che è andato in scena. E io sono lì, a cambiare con lui.
Invece un libro quando finisce di essere scritto poi se ne va da solo. Si sistema in libreria, finisce in borsa, in tasca oppure spillato in digitale. Come se io gli servissi poco o niente. Forse magari non sono nemmeno io che lo faccio succedere, un libro, mica come un monologo. Sgorga.
(Ah: esce il 17 settembre, eh.)