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È che poi io ci credo, forse sbaglio, alle parole

impegno

Quale parola mi verrebbe voglia davvero di scrivere, mi chiedo, di solito prima di andare a dormire? Scrivo quintali di parole al giorno, battute con con il rumore di un elastico che mi parte dalla testa e poi mi schiocca sulle dita con l’agilità di un certo allenamento. Ne scrivo di arrabbiate, d’amore, di cronaca cercando sempre di riuscire a non provocare nemmeno un cerchio nell’acqua dei fatti e spesso ne scrivo per mostrare un lato che è rimasto così tanto al buio che ci fa un freddo cane. E poi, quando mi capita di parlare per librerie, nei teatri o nelle scuole cerco sempre di non alimentare il feticcio, delle parole, che da sole senza qualcuno che le scrive e quelli che le leggono o chi le ascolta le parole sarebbero un’articolazione anche piuttosto ostica di suoni brevi. Però quando penso alla parola che vorrei riuscire a scrivere prima di andare a dormire mi verrebbe voglia, dico stasera, di scrivere impegno. Perché c’è dentro tutto, nell’impegno: la perseveranza, lo studio, la fatica, la passione, il tempo da spenderci, la misura, l’architettura dei sentimenti, lo sforzo ma anche la soddisfazione, il realizzarsi, il compiere. Ecco: se potessi esprimere un desiderio vorrei riuscire a non dire le parole che non sono abbastanza impegnate. Si eviterebbero i fraintendimenti, i dolori, le superficialità e sarebbero tecnicamente impossibili le bugie. Non credo che sarebbe un mondo tanto barboso quello delle “parole d’impegno”. E ci farebbe bene a tutti. A chi legge, a chi scrive, a chi pensa, a chi vive.

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