A volte le grandi occasioni stanno nascoste nelle pieghe sottilissime di panni a cui non prestiamo più troppa attenzione: l’abitudine, si sa, è il miglior regalo che si possa concedere a un governante che anche da sgradito riesce a issarsi a bandiera del meno peggio. Funziona così: creare il deserto è chiamarlo pace, piallare tutto il resto e poi piangere per la troppa pianura oppure, ancora meglio, fare la parte del coltello in un momento in cui il burro è praticamente liquido.
A volte la politica, ma anche la cultura o la società o semplicemente l’ingegneria del vivere insieme, coccola le sensazioni peggiori per usarle come clave: la disperazione, per la politica, è l’arma più potente che sia mai riuscita ad inventare; ma mica la disperazione coscientemente disperata che porta le persone a scendere in piazza, no, quella no, troppo appuntita e rumorosa piuttosto la politica nostrana (ma in fondo la politica tutta) preferisce di gran lunga la disperazione che rimane un po’ fessa, basita e imbolsita, nella testa di chi crede che è tutto finito, che è tutto un incastrato immobile, che si vota per dire di non avere voglia di votare.
Ma cosa ci siamo messi in testa, un altro partito? Perché servirebbe un partito in un panorama strapieno di bande organizzate sotto diversi loghi, sigle e vessilli? La domanda circola, si ripete e rimbalza in ogni angolo mentre camminiamo per l’Italia a raccontare la nostra riforma costituzionale, il nostro NO che è un “SÌ, facciamola con misura e intelligenza”: un altro partito?, mi chiedono con l’esasperazione scambiata per stanchezza.
Possibile si debba mettere insieme Possibile? Mi dicono. Con Sinistra Italiana, il PD, la sinistra del PD, la destra di SEL, De Magistris e i sindaci, il M5S. E Bersani? E D’Alema? E Pizzarotti? Il sogno della disperazione sarebbe almeno mettere insieme gli avanzi per poter fingere un piatto ricco. Serve un altro partito? Non lo so. Serve, certo, rimanere fuori dalle beghe che imperversano nei partiti non ancora nati. Questo sì. Ci sia concesso almeno questo. Fateci credere che una volta, una volta almeno, se falliamo abbiamo fallito noi senza poter trovare scuse. Possibile (che a lungo molti hanno voluto dipingere come “Improbabile”) è un seme che non ha nemmeno lo spazio per le correnti: progetti, disegni, pensieri, politica. Possono piacere o no ma dentro possibile ci sono fluidi che scendono a valle. Nessun mulinello, nessuna masturbazione.
Perché serve Possibile? Perché ci stanno lavorando in molti. Ci stiamo lavorando. In molti. Discutendo di ciò che sarebbe da fare senza preoccuparci di fabbricare merce di scambio. Serve un altro partito, quindi? O beh, che ne servano milioni se la moltitudine garantisce meno preoccupazione per i giochi interni. Da queste parti si sogna un Paese in cui ogni cittadino si fa partito, pensa te. E poi, solo poi, costruire un luogo che è coalizione di obiettivi, pensieri lunghi e comunità di sensibili concordi. Ne servono milioni di partiti in un Paese che ha fatto dei partiti le mutande pubbliche di qualche signorotto. Sì. Credo di sì.
Perché il Politicamp di Salerno è importante? Perché la politica è una palestra umana e per restare umani serve anche restare insieme. Abbiamo milioni di cose da raccontarci: senza scendere nei patetici inferi dei complottismi c’è un pezzo di politica che ha cercato di cancellarci e non c’è riuscito. E ora tocca a noi, è la nostra mossa. Ora c’è da raccogliere le forze, le persone, la via e le energie. Ora c’è l’occasione di fare del nostro bancone da bar all’aperitivo il nostro comitato politico. Ora.
La politica si fa, non si dice. E a Salerno stringiamo il patto di rispettare le nostre storie. Praticandole. Insieme. Ecco perché è cruciale. O no?
(il programma della manifestazione è qui)
(come arrivare, come dormire, lo trovate qui)