Una riflessione di Rocco Olita:
Probabilmente, quello del “merito” è il mito più falso e pervicace allo stesso tempo. Nella stagione della guerra dichiarata a ogni menzogna, stupisce che esso non sia il primo obiettivo di ogni azione rivelatrice che voglia presentarsi come scienza. Al contrario, proprio quelli che dell’arte di smentire ogni singola “bufala” fanno bandiera, questo truffaldino concetto eleggono a loro araldo.
E dunque, permettetemi di provare io a dire qualcosa contro questa prosecuzione della disuguaglianza con abiti più eleganti: la meritocrazia è la favola buona per farci addormentare la sera sulle ingiustizie di cui siamo parte o vittime. Io non ho merito alcuno per quello che sono diventato, perché nessuno posso vantarne per ciò che sono, fui o sarò. Che abbia potuto accedere a determinate possibilità non è stato per mie qualità, ma per l’essere nato in un posto invece che in un altro. Di conseguenza, non ho meriti per i miei studi, per essermi laureato a 23 anni, per il 110 o per la specializzazione successiva, per aver trovato un lavoro a ben 1.200 euro mensili a soli 1.200 chilometri da dove son nato, per le cose che ho e per quelle di cui posso beneficiare. Per la semplice ragione che, se fossi venuto alla luce in un posto diverso o in una famiglia differente, oggi potrebbe non essere così.
È da fatti che non stanno nelle nostre scelte che tutto discende. E siccome sono convinto che pure la coscienza sia determinata dall’essere materiale e sociale, come si diceva un tempo, anche il rispetto delle regole e le cose che si pensano o in cui si crede discendono da quei fatti. Un esempio? Io oggi non ruberei. Ma potrei dirlo con la stessa sicurezza se invece ne fossi stato costretto da ristrettezze assolute? Con le parole del Tito nel suo testamentocantate da De André: «Non desiderare la roba degli altri,/ non desiderarne la sposa./ Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi/ che hanno una donna e qualcosa».
(continua qui)