(Nel numero di Left che trovate in edicola o in digitale qui c’è un mio racconto per il prossimo 8 marzo. Al di là del fatto che un settimanale italiano che dedica pagine a un racconto è un’ottima notizia per me è stata una bella soddisfazione. Questo che segue ne è l’inizio. Il maglio, come al solito, è nel finale.)
C’era bava sul colletto. La prima sensazione fu quell’umidiccio scivoloso che gli leccava il collo, poi ci fu la bocca bolsa, tutta stracciata, da ricomporre in un morso che fosse almeno civile. Quando aprì gli occhi il Signor M. la prima cosa che fece fu di controllare se fosse stato visto da qualcuno; l’idea di essere stato inconsapevolmente osservato in quel suo sonno gocciolante e piegato in due lo metteva terribilmente a disagio. Pensò anche che, forse, il disagio si potesse vedere.
Poi si disse di smetterla.
Fuori dal finestrino c’era un’alba piuttosto stantia con le luci ancora troppo buie. I campi che passavano in fila con solo qualche curva di una vecchia strada provinciale non suggerivano nessun posto in particolare: avrebbe dovuto arrivare alla stazione di Roma alle otto e undici minuti secondo la tabella ferroviaria e, con un calcolo a spanne, pensò di essere nell’ultima Toscana, forse Umbria.
Due file più avanti la controllora chiacchierava a bassa voce con un’elegante signora. M. ne scorgeva i capelli ramati dal poggiatesta, tenuti insieme da una molletta color avorio. Dalla voce seppur bassa si sarebbe detto che potesse avere una quarantina d’anni. Di certo era presa da qualche preoccupazione.
«Era una decisione che prima o poi si sarebbe dovuta prendere», diceva la controllora, marziale in una divisa che aveva qualcosa di militaresco più che ferroviario.
Dal suo sedile, sporta verso il corridoio centrale in cui sbucavano solo le dita, la signora seduta continuava a ripetere che comunque era importante non arrivare allo scontro, fare tutto con intelligenza e misura. Intelligenza e misura, continuava a ripetere. Anche se ogni volta il tono si faceva più cupo, intenso, infine quasi commosso.
«Certo», le disse la controllora con il tono di chi non vuole disturbare ma comunque farsi sentire, «ma la pazienza ha un limite. Anzi, non è questione di limite. È questione di dignità. Prossima fermata: dignità!» disse in un crescendo che si ruppe dentro una risata chiassosa. Durò qualche minuto, con tutti i rivoli. M. provò un brivido di imbarazzo per quel tono che l’avrebbe svegliato se non fosse stato sveglio.
Dall’altro lato, sulla coppia di sedili oltre al corridoio, una ragazza lo fissava con un libro tenuto sulle gambe solo per posa. A vederla si sarebbe detto che fosse lì dall’inizio del viaggio a vivisezionarne i centimetri di pelle: M. tentò di sostenere lo sguardo, qualche secondo, poi si abbassò. «Cosa guardi» fu il pensiero che fece accompagnandolo con le labbra. Non che non fosse abituato agli sguardi, M., per carità: nel suo lavoro di “selezione del personale” gli capitava di rovistare tutto il giorno in mezzo agli occhi degli altri. Imploranti, arresi, speranzosi, stanchi, liquidi, torvi: la sua carriera era stata tutto uno sfilare di occhi. Ora che l’azienda affrontava la crisi invece si ritrovava a porgere con ferma cortesia la proposta di cassa integrazione, mobilità e tutte quelle altre fregole per camuffare il licenziamento e gli occhi, alla fine, erano diventati tutti spenti. Tutti uguali. I licenziati hanno tutti lo stesso colore addosso, anche in faccia. Pensò. Sbirciò ancora a lato: la cacciatrice era sempre in punta. Per quel poco che riuscì a tenerle lo sguardo si accorse della sua immagine di preda riflessa. Provò imbarazzo. Il caldo gli salì dalla schiena diventando rossore a macchie su per il collo. Pur non vedendosi M. avrebbe potuto disegnarsi il rosso che aveva addosso. Sentiva il fiato di quella che gli evaporava nel naso. Gli venne da allargarsi il colletto del maglione nonostante non fosse stretto. Si sarebbe sbucciato, pur di non essere lì. Ebbe anche l’istinto di sfidare quegli occhi sconci ma quando riguardò la donna se la ritrovò con un’espressione tronfia di chi sapeva che sarebbe tornato. Rinunciò.
(Il racconto prosegue sul numero di Left in edicola. Il sommario è qui. Il numero digitale si può acquistare qui)