Lasciamo perdere la politica, per ora, così com’è erroneamente intesa in quest’epoca in cui la gara ad essere immediatamente comprensibili continua a partorire banali banalizzatori, incapaci di raccontare la complessità. Parliamo di spettacolo, prima di tutto: perché il monologo di Pierfrancesco Favino nella serata di chiusura di Sanremo è soprattutto teatro, sia nella scrittura di Bernard-Marie Koltès sia nella scelta stilistica della recitazione. E il monologo di Favino (che sia piaciuto o meno dal punto di vista dell’interpretazione non è importante, ora) è stato un “evento” in grado di sconquassare il placido mondo della prima serata italiana: un artista sulla cresta dell’onda ha deciso di prendere una posizione su un tema che divide e inevitabilmente espone ad attacchi e giudizi. Incredibile, eh?
È così terribilmente fuori moda per gli uomini di spettacolo prendere posizione che alla fine serve Sanremo per scoprire che il teatro (e la letteratura, la pittura e le arti tutte) in realtà hanno tutte le parole che servono per leggere il nostro tempo:
«Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa
più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero
loro finiscono qua e io finirò laggiù
laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne
Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro
se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più
Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba
l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.
Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,
ti devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così
almeno ti avrò detto quello che ti devo dire».
Scritto nel 1977, recitato negli anni in moltissimi teatri sparsi per il mondo: improvvisamente sbuca a Sanremo. Qualcuno dice che è stato recitato male, qualcuno dice che Favino non avrebbe dovuto “svendere” un testo del genere al mainstream (il reato sarebbe quello di avere recitato un testo bellissimo di fronte a troppe persone, una cosa del genere), qualcuno dice che i razzisti hanno applaudito Favino ma poi continueranno ad essere razzisti.
Io, nel mio piccolo, registro due cose due: in un momento in cui va di moda “tenere i toni bassi” (che è un modo elegante per arrogarsi il diritto di non prendere posizione), Favino invece parteggia e in più qualche milione di italiani hanno hanno sentito nominare un autore che difficilmente avrebbero potuto incrociare nella televisione nostrana. Mi paiono entrambe buone notizie.
Buon lunedì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/02/12/favino-sanremo-e-due-buone-notizie/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.