L’ultimo è il giretto in moto d’acqua. Una scena degna di un cinepanettone dove il potente di turno è circondato da istituzioni che si fanno camerieri. I poliziotti trasformati in animatori del baby club nella spiaggia del Papeete Beach a disposizione del figlio del ministro dell’interno sono solo l’ultimo indizio della considerazione che il ministro ha delle forze dell’ordine, al di là delle sue altisonanti dichiarazioni, e chiarisce una volta per tutte la statura morale e istituzionale di un uomo che vive l’essere al governo come la gita di classe inaspettata.
È lo stesso Salvini che ha usato le forze dell’ordine per controllare e togliere gli striscioni contro di lui, come se fossero spazzini addetti al controllo del pensiero e del dissenso durante le sue scampagnate elettorali. Poliziotti che perquisiscono case di anziane pensionate perché si sono permesse di non essere d’accordo con le idee e le politiche del ministro sono una scena da dittatura sudamericana.
È lo stesso Salvini che usa la Polizia per scortare pericolosi bambini con i libri di scuola in braccio oppure per fare scendere temibilissime donne incinte dalle barche. La Polizia che usa gli idranti per sfollare le piazze e i disperati, come operatori di igiene pubblica che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei suoi cittadini.
È lo stesso Salvini che usa la Polizia come logo da esibire sulle sue magliette panciute, ridotti a travestimento delle sue incursioni su Facebook e usati come propaganda stampata sulle felpe.
È lo stesso Salvini che non ha risolto lo strutturale problema della carenza di uomini e di mezzi. Parla ma non fa.
È lo stesso Salvini che non aumenta gli stipendi di chi rischia la vita per pochi spicci al mese. Quello che apre le donazioni pubbliche per le famiglie di poliziotti o carabinieri uccisi dimenticandosi che se ne dovrebbe occupare lo Stato e che lo Stato in questo caso è lui.
E per quanto riguarda il suo errore da papà è lo stesso Salvini che dovrebbe rileggersi ciò che scrisse il figlio Giorgio di suo padre Giovanni Amendola (nel libro del 1976 Una scelta di vita, Rizzoli editore):
“Mio padre era intanto diventato ministro delle Colonie nel governo Facta. La vita a casa, con questa nomina, fu resa più difficile per le nuove condizioni economiche imposte dalla riduzione di stipendio. Dalle 4.000 lire al mese ricevute dal Corriere della Sera si era passati alle 2.000 lire che costituivano lo stipendio di un ministro.
Mio padre era di una rigida severità. Avendo io un giorno atteso sul portone di casa che egli scendesse, per ottenere un passaggio sull’automobile ministeriale fino a piazza Colonna (il ministero delle Colonie occupava allora Palazzo Chigi), egli me lo rifiutò bruscamente, dicendo che le automobili dello Stato non dovevano servire alle famiglie dei ministri. Ed infatti mia madre, nei suoi brevi soggiorni a casa, tra un ricovero e l’altro, non poté mai disporre dell’automobile ministeriale. Quando mio padre fece un viaggio ufficiale in Tripolitania e in Cirenaica, si rifiutò di farsi accompagnare da me, malgrado le pressioni di Donnarumma, infierendo inoltre con una cartolina inviata da Malta nella quale indicava la mia ennesima bocciatura come motivo del mio mancato viaggio in Africa. Ma, prima degli scrutini, nella sua unica visita fatta durante tutto l’anno al professor Kambo, al Visconti, gli aveva raccomandato la massima severità: « Lo rimandi, lo rimandi pure a ottobre, gli farà bene studiare ». Il professore Kambo non si fece pregare”.
Buon giovedì.
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