Si vede da lontano lo sforzo di Draghi di non essere “di nessuna parte” per non interferire nel minuzioso lavoro di chi lo vorrebbe prossimo presidente della Repubblica
«Non ho fatto una scelta sul nome del futuro presidente della Repubblica. Se Draghi diventasse presidente si andrebbe a votare, ma non ho elementi per dire che Fratelli d’Italia potrebbe sostenerlo. Cerco di valutare la sua figura, sicuramente autorevole, e dico che l’autorevolezza è una bella cosa ma va esercitata. All’interno del governo mi pare che Draghi penda di più dall’altra parte»: parole di Giorgia Meloni, aspirante leader del prossimo centrodestra, intervistata da Lucia Annunziata durante una delle sue tante ospitate in questo tour che sa molto di “operazione simpatia” per “normalizzare” anche la destra peggiore e per erodere i voti pop all’alleato Salvini.
Draghi pende un po’ a sinistra, secondo Giorgia Meloni che così puntella il presidente del Consiglio e lo sforzo di Draghi di non essere “di nessuna parte” per non interferire nel minuzioso lavoro di chi lo vorrebbe prossimo presidente della Repubblica si vede anche da lontano. Cosa sceglie Draghi per piacere a tutti? La via più facile, quella più naturale per chi ha interesse a non disturbare gli equilibri: il silenzio.
Così mentre ieri il presidente Mattarella ha celebrato la Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia spiegando in un comunicato che «le attitudini personali e l’orientamento sessuale non possono costituire motivo per aggredire, schernire, negare il rispetto dovuto alla dignità umana» a Draghi invece non esce nessuna parola. «Ci sarebbe piaciuto che l’avesse detto anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Mancano ancora un po’ di ore», ha detto ieri il presidente onorario di Arcigay Franco Grillini. Speranza vana.
Stesso silenzio sulla situazione israelo-palestinese, su cui Draghi balbetta finendo schiacciato sulle posizioni americane. Mentre i leader dei Paesi di tutto il mondo almeno si prendono il disturbo di dire qualcosa, seppure spesso con frasi di circostanza, Mario Draghi non dice per non scontentare nessuno illudendosi di accontentare tutti. Eppure è lo stesso Draghi che aveva orgogliosamente indicato Erdogan come dittatore: su Tel Aviv e Gerusalemme nulla. Stesso silenzio sulla possibile riforma della giustizia.
Fin dall’inizio ci siamo permessi di notare (e provare a fare notare) che questo governo sarebbe stato talmente ampio da risultare impolitico. Tocca perfino dare ragione a Salvini quando lascia intendere che questo governo, pur avendo l’appoggio di quasi tutti, non potrà fare le riforme. «Intanto le riforme sono un problema di sistema, non tanto e solo Draghi. Poi, essendo questioni squisitamente politiche è difficile portarle avanti in una coalizione così indeterminata politicamente. Vanno fatte riforme di destra o di sinistra? Le differenze tra le posizioni dei partiti sono evidenti. O diciamo che esiste una visione che va bene a tutti oppure accettiamo l’esistenza di posizioni diverse che andrebbero legittimate dal voto», spiegava ieri il politologo Piero Ignazi in un’intervista a Huffington Post.
Mario Draghi è come quel compagno di liceo, che quasi tutti abbiamo avuto, che risultava misterioso perché non parlava mai e nessuno si accorgeva che non avesse niente da dire oppure che senza parlare avrebbe potuto essere potenzialmente d’accordo con tutti. Qualcuno scambia il silenzio per autorevolezza e applaude alla politica del presidente amministratore delegato che lascia la comunicazione all’ufficio marketing. E chissà se qualcuno prima o poi si accorgerà che questo governo, con il piano vaccinale che ora sembra a regime e con i compiti ben fatti già spediti all’Europa, sembra essere sul punto di esaurire il suo mandato. Per la gioia di Meloni e Salvini.
Buon martedì.
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