«Ci dicono: “soffriamo la sofferenza”. Hanno sofferto in Africa e dover aggiungere sofferenza alla sofferenza è difficile da spiegare e da capire»: Juan Gil, il capo missione della Resq People, al telefono racconta la difficoltà di tenere sulla sua nave 166 persone raccolte nel Mediterraneo in 4 differenti operazioni di soccorso. «Abbiamo 24 donne, 17 minori di cui 3 con meno di 5 anni, un bambino di 9 mesi e una bambina di un anno». La nave italiana è in attesa di un porto e per ora riesce a gestire le persone a bordo ma, come ci dice Gil, «oggi vediamo il mare più mosso, non è più come nei giorni precedenti e stare in mare non è certo il posto adatto per chi ha sofferto patimenti, detenzione, estorsioni e violenze». Malta ha rifiutato il porto mentre dall’Italia non è giunta ancora nessuna risposta. «Siamo sempre in attesa. Abbiamo qualche giorno di autonomia per quanto riguarda il cibo ma la situazione preoccupante sono le persone che non capiscono quando sbarcheremo e ogni giorno inevitabilmente cresce l’ansia e ogni giorno ci è più difficile riuscire a spiegare».
Sulla stessa nave è impegnata anche Cecilia Strada, figlia di Gino Strada il fondatore di Emergency che è mancato nei giorni scorsi e che per anni si è impegnata con l’associazione in Afghanistan. «In questo momento trovarmi qui è uno strazio – dice Cecilia Strada – perché non riesco a seguire granché dovendoci occupare della navigazione e delle persone a bordo. Penso però ai molti amici, i colleghi, alle molte persone che ho incrociato negli ultimi anni. Prima mi è capitato di prendere per 5 minuti il telefono in mano mentre ero in pausa, e ho scoperto che è ancora pieno di foto della mia ultima volta in Afghanistan. Guardando quei volti mi viene naturale chiedermi se quelle persone oggi siano ancora vive».
Così mentre scoppia l’emergenza in Afghanistan Cecilia Strada si ritrova nel mezzo di un’emergenza in mezzo al mare: «ma non dobbiamo parlare di “emergenza profughi”: l’emergenza sono i profughi, la tragedia di queste persone, la loro emergenza di persone in mezzo al mare o nei centri di detenzione in Libia o qualsiasi altro luogo di violenza. Quello che sta accadendo è il naturale risultato di ciò che accade, è la Storia che chiede il conto: vivere in un sistema sbagliato e violento sicuramente non farà piovere pasticcini. Se si vive in una sistema che chiude i canali d’accesso legali la gente muore nel deserto, in mare o nei centri di detenzione e così come accade in Afghanistan se si usa la guerra per fare finire la guerra è naturale che si continui con la guerra». Cecilia Strada dice che «in Afghanistan è andato storto tutto e l’incubo peggiore oggi è diventato realtà».
Nel giorno in cui è mancato il padre Cecilia ha detto di essere dove “doveva essere”, “a salvare vite umane”: «Noi tendiamo a piangere sempre quando è troppo tardi – ci dice – a commuoverci quando ormai la gente è fottuta. Ci impressiona il cadavere del bambino sulla spiaggia, ci provoca angoscia e disagio. Ci impressionano le persone aggrappate alla carlinga dell’aereo a Kabul ma sono le stesse persone del giorno prima: dobbiamo muoverci prima e non commuoverci dopo».
Sul lutto piuttosto ipocrita dopo la morte del padre dice di non avere «fatto in tempo a vedere niente ma sono sicura che non avrei avuto nemmeno troppa voglia. Ho saputo di gente che l’ha pianto dopo non avere mai perso l’occasione per attaccarlo. Del resto Gino morto piace a tutti perché un morto non parla. Se stava zitto e curava la gente piaceva ma quando apriva la bocca e raccontava il perché della guerra e delle armi allora non piaceva più. Gino Strada doveva stare zitto in sala operatoria, solo così».
Ora Resq aspetta con urgenza un porto. «Quel porto che se avessimo a bordo dei francesi soccorsi dopo un incidente su una barca a vela arriverebbe immediatamente e che invece a questi che non sono bianchi diventa difficile dare. Eppure chi ha un problema in mare ha diritto a scendere prima possibile a terra. Questa notte andiamo a riparare tra Capo Passero e Siracusa per proteggerci dal vento e dalle onde e intanto aspettiamo fiduciosi una risposta».
E quando le si chiede se davvero è fiduciosa, Strada risponde: «Io ho fiducia nel genere umano, una fiducia smisurata. Solo che se fosse una quindicenne bianca che racconta quello che abbiamo ascoltato oggi da una quindicenne che abbiamo a bordo, allora aprirebbero i porti, gli aeroporti e perfino le astronavi. Noi aspettiamo»
L’articolo “Gino Strada morto piace a tutti perché non parla”, l’accusa della figlia Cecilia proviene da Il Riformista.