«Giovanni ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello. O quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero. Ma oggi signori e signore, davanti a voi, in questa bara di mogano costosisima, c’è il più testa di minchia di tutti: Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge…”»
[Paolo Borsellino a Giovanni Falcone]
Sono passati 30 anni, Falcone e Borsellino li commemoriamo eppure non hanno nemmeno finito di raccontarci tutta la loro storia. Ancora non sappiamo chi ha posato i fiori e chi ha posato le bombe.
Non se ne parla più, non ne parlano più. Le mafie sono scomparse dai radar del dibattito pubblico e della politica eppure le operazioni della magistratura raccontano una realtà ben diversa. I mafiosi sono sempre gli stessi: hanno nomi e cognomi (che non vogliono che vengano pronunciati e invece li pronunciamo), sono goffi e imbarazzanti nelle loro storie e nelle loro intercettazioni (che noi leggiamo sul palco, cosa c’è di meglio?) e abitano tranquilli facendo finta di essere buoni cittadini.
Recuperando i canoni dei giullari del ‘500 si percorre la storia delle mafie smontando il presunto onore di presunti boss che si sgretolano di fronte alla risata. Poiché ridere di mafia è il modo migliore per neutralizzarla e poiché praticare la memoria è un dovere, ridere e ricordare sui palchi è il modo migliore per additare le mafie e per provare a sconfiggerle (e costringere chi deve farlo a farlo).
Ridere di mafia è un antiracket culturale. Se la parola funziona significa che tutti hanno in tasca l’arma bianca con cui prendere parte alla battaglia.
Durata 80 minuti circa
per informazioni organizzazione@teatroaquilante.it