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“Abbiamo cambiato paradigma, aumentando diritti e salari per tutti e sanando una disfunzione. L’altra cosa bella sa qual è? Che a livello economico funziona”. In Italia se qualcuno pronunciasse una frase del genere sarebbe ritenuto idealista, sognatore e nel peggiore dei casi un nemico dello Stato e delle imprese. Eppure sono le parole della vicepresidente del governo spagnolo Yolanda Diaz, espressione di Unidas Podemos e ministro del Lavoro in Spagna dove all’inizio di quest’anno è stata varata una riforma del lavoro con il dichiarato intento di ridurre la precarietà.
La ministra del Lavoro spagnola Diaz parla di dati record. Ad aprile i lavoratori stabili sono saliti a 12,8 milioni
A Repubblica Diaz ha demolito con poche parole tutti gli interessati pregiudizi di un certo mondo delle imprese italiane e ha capovolto la narrazione italiana: “Stiamo dimostrando – dice Diaz intervistata dal quotidiano romano – che l’assunto di partenza del dibattito era falso, ovvero che non ci potessero essere maggiore stabilità e maggiori diritti, specie in due grandi settori per noi come turismo e agricoltura. Invece i dati ci dicono il contrario, i nuovi contratti aumentano e questo sta avvenendo anche nei mondi tipicamente stagionali, grazie ai contratti discontinui ma stabili (fijos-discontinuos, ndr). Un lavoro di qualità è un bene per le aziende stesse, il lavoro precario rende anche le imprese precarie”.
Chissà che ne pensano gli astuti editorialisti di casa nostra che ogni giorno si spremono per trovare qualche testimonial del lavoro precario come unica alternativa per salvare la stagione estiva. A parlare per la riforma del lavoro in Spagna sono i numeri: ad aprile secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Ine) erano 12,8 milioni i lavoratori spagnoli ad avere un contratto stabile, un record reso possibile anche da 1.450.093 contratti firmati solo nel mese di aprile di cui 698.646, ovvero il 48,2%, a tempo indeterminato. La riforma, frutto di un ampio consenso tra governo e sindacati, era passata lo scorso 3 febbraio con 175 sì e 174 no, curiosamente grazie a un errore nel voto del deputato popolare Alberto Casero.
È stata fortemente voluta anche dalla Commissione europea che l’ha inserita tra le condizioni per accedere ai fondi del NextGen EU per ridurre la precarietà e per correggere le storture della negoziazione collettiva. Vengono previsti solo due tipi di contratto a termine: quello strutturale, per ragioni legate alla produzione e quello di sostituzione di un altro lavoratore. In entrambi i casi il contratto può avere una durata massima di 6 mesi, estendibili a un anno solo per circostanze particolari previste nell’accordo collettivo.
Spariscono di fatto i contratti a termine di cui le imprese (in Spagna e anche da noi) hanno abusato per anni. Anche le sanzioni sono più severe: le multe colpiranno le imprese per ogni contratto irregolare. Per garantire invece la flessibilità nei settori con un alto numero di lavoratori stagionali i nuovi contratti restano a tempo determinato ma prevedono forme di tutela simili a quelle garantite dai contratti a tempo indeterminato sia in termini di salario sia in termini di scatti di anzianità.
La nuova legge prevede anche il ritorno alla centralità della contrattazione collettiva e dei sindacati. Viene impedita la possibilità, introdotta con la riforma del 2012, di sostituire tramite accordi d’azienda i contratti collettivi in scadenza. Quando un contratto collettivo arriverà alla data di scadenza, potrà comunque rimanere in vigore finché non verrà raggiunto un nuovo accordo con le parti sociali. Anche sulle assunzioni mediante l’utilizzo di società multiservizi viene imposta un giro di vite: i datori di lavoro dovranno garantire, infatti, salari e condizioni contrattuali stabilite dal contratto di collettivo di settore anche per i lavoratori interinali, cancellando di fatto la scorciatoia delle agenzie di lavoro come serbatoio di manodopera a basso costo e senza diritti.
Per evitare che il contratto di formazione fosse una furberia ne sono state previste due categorie: quello di alternanza studio-lavoro che è però retribuito e il tirocinio professionale. L’alternanza scuola lavoro può durare dai 3 mesi a due anni e la retribuzione è quella stabilita dal contratto collettivo.
Nel caso non sia previsto, la retribuzione comunque non può essere inferiore al 65% il primo anno, e al 75% il secondo anno, rispetto a quella fissata dal contratto del settore per l’attività svolta. Ma ad essere tutelate sono anche le imprese: la legge oltre a facilitare l’accesso agli Erte (una sorta di cassa integrazione) introduce il meccanismo Red di Flessibilità e Stabilizzazione dell’Impiego. Si tratta di una misura per permettere alle aziende in difficoltà di ridurre la giornata lavorativa o sospendere i contratti su iniziativa del Consiglio dei Ministri.
La misura può essere ciclica (quando la situazione macroeconomia generale lo richiede) e settoriale (quando in un settore è necessario un processo di riqualificazione e transizione professionale dei lavoratori). Temi che in Italia sono trattati come se fossero brigatismo sindacale, in Spagna sono già legge. È tutto scritto, basterebbe avere voglia di leggere e prendere esempio.
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