A Torino un uomo condannato in primo grado per violenza sessuale è stato assolto dalla Corte d’Appello perché la vittima, si legge nella sentenza, avrebbe indotto l’imputato a «osare».
Eppure in tutta questa storia c’è una frase sostanziale della ragazza: «Gli dissi chiaramente: non voglio». Per questo ora la sentenza è stata impugnata dalla Corte di Cassazione.
Il fatto sarebbe avvenuto nel bagno di un locale di Torino. La ricostruzione dei giudici è da brividi. Scrivono che la ragazza «alterata per un uso smodato di alcol (…) provocò l’avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta», che «si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire». L’imputato «non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane» rompendo addirittura la cerniera: secondo il giudice della Corte d’appello, tuttavia, «nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura».
Il sostituto procuratore generale Quaglino nel suo ricorso definisce la sentenza «illogica» confermando che il dissenso della ragazza è stato espresso ripetutamente con «parole e gesti».
La sentenza, ci permettiamo di dire, oltre che illogica è pericolosa perché è l’ennesima porcata nel Paese in cui ci si ostina a dire alle donne “denunciate” e poi si raccolgono i cocci di un sistema che le rivittimizza senza pietà.
Buon venerdì.
Nella foto: presidio di “Non una di meno” per denunciare l’inadeguatezza delle modalità processuali e la mancanza di preparazione di giudici nel tutelare le vittime dei reati di violenza, Milano, 11 aprile 2017