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Fassina: “Il Pd ha abbracciato i neoliberisti”

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Enrico Letta scrive agli iscritti del Partito democratico: “Abbiamo perso, ma ne usciamo vivi. Ora contenuti e volti nuovi. Confronto sarà su tutto: dal nome a simbolo. Nel frattempo Rosy Bindi propone di sciogliere il partito. Le acque sono agitate. Ne abbiamo parlato con Stefano Fassina, deputato tra i fondatori del Pd e ex viceministro dell’Economia sotto il ministro Fabrizio Saccomanni nel governo Letta.

È fallita la fusione a freddo tra Ds e Margherita che ha dato vita al Pd?
“Si trattava già di una fusione che ha riguardato due esperienze, due storie, che erano consumate. Quindi il problema non è la fusione ma i protagonisti che già erano arrivati al capolinea. Del resto il Pd ha abbracciato l’impianto neoliberista che era già in crisi. Nel 2007, l’anno del Lingotto, qualche mese prima ci fu la crisi dei mutui subprime, che è frutto dell’insostenibilità di quell’impianto. Erano due storie che a un certo punto avrebbero dovuto rigenerarsi e invece hanno assunto le peggiori mode a sinistra”.

C’è chi dice che occorrerebbe dividere i socialdemocratici e i liberali nel partito, una volta per tutte. Che ne pensa
“Io l’anima socialdemocratica sinceramente non l’ho vista molto. Quando è stato approvato Jobs Act e Buona suola solo un gruppetto sparuto di noi si è differenziato e poi è uscito. Gli altri hanno approvato in Parlamento quello che passava Renzi,. Qualcuno che oggi mi dice che effettivamente il Jobs Act fosse sbagliato a quel tempo mi dava del rosicone. Che ci siano singole personalità socialdemocratiche all’interno del partito non lo metto in discussione ma la socialdemocrazia come posizione politica non l’ho mai vista in questi anni”.

Quindi quale futuro vede per il Pd?
“La proposta che ha fatto oggi Letta con la lettera gli iscritti (di rifondare il partito con contenuti, volti e nome nuovo, nda) credo possa andare avanti. L’alleanza progressista necessita di un Pd solido che si costruisce un profilo di cultura politico e sinergico con quello del Movimento 5 Stelle”.

Molti danno per certo Bonaccini come prossimo segretario, che ne dice?
“Il punto non è Bonaccini o chiunque altro. A me pare che posizioni in continuità non siano adeguate. È necessaria una profonda discontinuità. Chi è in grado di interpretare questa discontinuità non lo so. Oggi ricorrere a delle figure senza poter valutare prima l’effettiva discontinuità delle proposte la trovo l’ennesima illusoria scorciatoia. I tempi che vengono proposti per il congresso sono troppo stretti per fare lavoro approfondito e per rendere credibile un’apertura che rischia di essere confinata alle figure limitrofe. I tempi sono difficilmente coerenti con l’ambizione di ricostruire un soggetto politico”.

Quindi meglio una separazione?
“Non vedo sul piano politico queste due anime. Segnalo che quelli che arrivano dalla mia stessa storia (Ds) sono stati protagonisti dell’interpretazione neoliberista. Il Lingotto l’ha fatto Veltroni, il Jobs Act Ichino e quella componente. L’europeismo fideistico accomuna quelle visioni. Una divisione sulla base delle provenienze la trovo insensata, Fassino è stato più sdraiato di Letta sulla vicenda della guerra e sull’atlantismo subalterno. È altresì vero che Orlando ha fatto un lavoro molto positivo da ministro, quindi non voglio dare una lettura indifferenziata del Pd. Però non vedo posizioni politiche così riconducibili a Ds o Margherita. Alcune declinazioni liberiste diritti civili, come la maternità surrogata, sono assolutamente condivise da tutti”.

Quindi si cambia nome?
“Anche questa la sento a intervalli regolari. Ma il proverbio latino “rem tene, verba sequentur” in questa occasione calza perfettamente. Mi pare molto consolatoria l’invocazione del cambio del nome. Tra l’altro mi pare che si proponga un nome ancora più indefinito, invece c’è bisogno di risposte identitarie ancora più nette”.

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