Comincia a prendere forma la prima Manovra economica del governo Meloni.
Da qualche ora, infatti, sta circolando una bozza preliminare della legge di Bilancio 2023, varata nella tarda serata di lunedì in Consiglio dei ministri.
Il testo – datato 23 novembre 2022 e in parte già anticipato in conferenza stampa dal presidente del Consiglio – conta 136 articoli, strutturati in 15 capitoli, principalmente focalizzati su fisco, pensioni ed energia.
Tra le varie misure previste spunta, però, anche un fondo di oltre 40 milioni di euro per l’ampliamento della rete dei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), con l’obiettivo di assicurare che le espulsioni dei migranti avvengano più rapidamente.
Lo prevede l’art. 106 (rubricato “Ampliamento della rete dei centri di permanenza per il rimpatrio – C.P.R.”), dove si legge che per «assicurare la più efficace esecuzione dei decreti di espulsione dello straniero» il Ministero dell’Interno è autorizzato ad ampliare la rete dei centri di permanenza per i rimpatri. A tal fine, infatti, «le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno relative alle spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di trattenimento e di accoglienza sono incrementate di euro 5.397.360 per l’anno 2023, di euro 14.392.960 per l’anno 2024, di euro 16.192.080 per l’anno 2025».
Inoltre, per quanto riguarda le ulteriori spese di gestione, si legge che «le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno relative alle spese per l’attivazione, la locazione, la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza i fondi sono incrementati di euro 260.544 per il 2023, di euro 1.730.352 per l’anno 2024 e di euro 4.072.643 per il 2025».
«Nel nostro rapporto Buchi Neri – sottolinea la Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili (Cild) – abbiamo raccontato di come l’enorme spesa per questi centri sia inutile, tenendo conto del numero esiguo dei rimpatri che vengono realmente effettuati. Esistono alternative possibili, come il case management, con la presa in carico individuale delle singole persone che, oltre ad essere infinitamente più economiche, offrono risultati maggiormente apprezzabili nel garantire percorsi di integrazione nelle comunità. I Cpr – continuano da Cild – sono luoghi per i quali non esiste un ordinamento o un regolamento – così come ad esempio avviene per il carcere – e l’esercizio dei diritti delle persone trattenute è difficoltoso e incerto (ad esempio il diritto alla salute, alla comunicazione con l’esterno, all’assistenza legale). Inoltre, la gestione privata di questi centri, li rende un vero e proprio business che, in nome della massimizzazione del profitto, comprime ancora di più i servizi che dovrebbero essere offerti alle persone recluse, va ricordato, senza che abbiano commesso alcun reato.
Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle persone morte nei Cpr in uno stato di totale negligenza.
La realizzazione di altri centri di detenzione, al netto di queste gravi criticità segnalate nel nostro rapporto, ma anche nei rapporti di altre organizzazioni non governative, o governative (ad esempio il Comitato per la prevenzione della tortura) e da alcuni Parlamentari, non farà altro che perpetrare lo sperpero di soldi, la sistematica violazione dei diritti umani, senza garantire in alcun modo una gestione del fenomeno migratorio efficace e pragmatica», conclude Cild.
Buon lunedì.
Nella foto: corteo contro la riapertura dei centri di permanenza per il rimpatrio, Milano, 12 ottobre 2019
Per approfondire la storia e le condizioni dei centri di detenzione per immigrati, leggi il libro di Left