Qualche indizio non fa un prova, ma rende l’idea. Il clima festoso all’interno del Partito democratico dopo l’inaspettata partecipazione alle Primarie che hanno incoronato Elly Schlein nuova segretaria è una cortesia mal simulata che maschera la stizza di un gruppo dirigente che non si farà da parte facilmente e che, sommerso, in questi giorni sta affilando le unghie. Basta scorgere i segnali che provengono dai territori e che si infilano nelle dichiarazioni misurate regalate alla stampa. Il sogno inconfessabile è sventolare Elly Schlein come simbolo del rinnovamento e provare a tenere le redini dei potentati locali.
Sentirsi assolti e confidare nell’autopreservazione
«Elly non parla con nessuno, è troppo guardinga, si è aperta agli elettori ma evidentemente non si apre al partito», dice un (ex) dirigente nazionale ai suoi convinto di risultare uno stratega. Nonostante la batosta, una parte consistente del Pd uscito sconfitto dalle Primarie è convinta che quel voto non sia cosa loro, che l‘ossatura del partito sia il reticolo di interessi particolari dei cacicchi mai domi. Il significato della vittoria di Schlein non l’hanno compreso e non lo capiranno mai. È questione di sopravvivenza. Sentirsi assolti è l’unica reazione possibile per confidare nella propria autopreservazione.
Le frecciatine di Bonaccini e il “pericolo invasione”
Anche l’elegantissimo Stefano Bonaccini, che ha deliziato tutti con la sua signorilità recitata un secondo dopo la sconfitta, comincia a costruire l’impalcatura dell’opposizione interna. Stanno arrivando molti nuovi iscritti? «C’era da auspicare e augurarsi che altri facciano come Elly, che è rientrata nel Pd e la cosa non ha potuto che farci piacere», ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna ospite di un salotto televisivo. Che è come dire: «Ben vengano gli estranei alla nostra comunità che si è affidata a un’estranea». Dipingere Schlein come una parvenu è il metodo per cementare la vecchia comunità sventolando il pericolo di un’invasione. Guardando da fuori sembra un terrorismo basso, alla stregua di un Matteo Salvini con i confini. Sì, è quella roba lì. «Schlein non saprà guidare la macchina del partito perché non ne conosce i meccanismi e i segreti», auspicano i cacicchi scommettendo che presto o tardi sarà costretta a bussare alla loro porta. Allora tutto cambierà senza cambiare e il partito potrà tornare a essere la rassicurante casa che sognano, quella dove le “trattative interne” sono l’unica cosa che conta.
Gruppi dirigenti mossi solo dall’amore per il potere
Ma non è solo autopreservazione. Il Partito democratico in questi anni è diventato un caminetto di interessi particolari travestiti da interessi generali. L’amore per il potere – qualsiasi potere, anche il più piccolo potere – ha dettato la linea dei gruppi dirigenti intenti a spartirsi possibilità sempre più risicate senza avere contezza che là fuori intanto esplodevano i bisogni, cambiavano le priorità, si moltiplicavano i voti degli avversari. Quando hanno aperto la porta sono rimasti accecati dal sole e “non hanno visto arrivare” la brigata Schlein.
Infiltrati ancora non disintossicati dal renzismo
«Speriamo tanti arrivino e dobbiamo evitare una emorragia silenziosa di chi rischia di non sentirsi a casa», dice sempre Bonaccini nelle sue ospitate con quella faccia un po’ così, da sconfitto deluso ma non arreso. Il ricatto di quelli “che se ne potrebbero andare” è la grande idea lanciata da Lorenzo Guerini e la sua corrente Base riformista. Anche in questo caso siamo a livelli di feste del liceo, del “mi si nota di più se vengo o se minaccio di non venire mai più”. Il mito di un Partito democratico che si sta “svuotando” per gli addii è una favola triste per la tristezza che trasmette chi si ostina a raccontarla. La stragrande maggioranza di quelli che “se ne vanno” sono un nugolo che se n’è già andato da tempo. Gente che vota Terzo polo ancora non disintossicata dal renzismo e che frequenta il Partito democratico per non perdere la compagnia di giro e per non perdere l’occasione di fare tardi alla Festa dell’Unità con i vecchi compagni di classe.
Le minacce dei “me ne vado” non hanno avuto presa
Sono passate settimane, ma l’annuncio “me ne vado” non ha avuto presa. L’addio di Giuseppe Fioroni è diventato un tema dibattuto solo perché era una buona clava contro Schlein accidentalmente capitata. Alla fine non se ne andranno. Non se ne andrà nemmeno Lorenzo Guerini, l’ex ministro che si atteggia da Forlani ma poi si scioglie con gli amici più vicini confessando «ma no, ma no, dico di volermene andare ma resto qui». Badate bene, non se ne vanno perché non hanno un posto dove andare, mica per idealità o per spirito di squadra.
Sulla guerra in Ucraina ha retto, ora per Elly arrivano altre sfide
L’opposizione a Elly Schlein giurava – ne parlavano soddisfatti tra di loro – che la nuova segretaria si sarebbe schiantata quasi subito sulla guerra in Ucraina. Erano pronti a raccoglierne i cocci immaginando una furia pacifista che avrebbe travolto lei e il suo gruppo (al momento molto ristretto: Marco Furfaro, Alessandro Zan, Francesco Boccia, Chiara Gribaudo e pochi altri). Quando Schlein ha detto ciò che pensano molti elettori (anche del Pd), ossia che l’aiuto all’Ucraina non era in discussione ma che manca del tutto una reale spinta diplomatica parallela per cercare una soluzione, i suoi oppositori interni ci sono rimasti malissimo. «Allora la fottiamo sull’economia, cosa ne sa di economia», si dicono dandosi di gomito. Oppure «sulle nomine che sbaglierà nella nuova classe dirigente», pronti al vecchio rito del dossieraggio. E in effetti il rischio c’è: ci sono tra i “sostenitori di Elly” vecchi arnesi (seppur con parvenza giovanile) che scambiano la novità come possibilità di riciclo. Non sarà facile cambiare il Pd. Ma Schlein è stata eletta proprio per quello.
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