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I primi articoli di Renzi. Editorialista già con gli scout

“È un bel casino vivere la quotidianità. Un sacco di problemi, un sacco di questioni da risolvere. Se abbiamo aperto ad esempio un quotidiano in questi giorni, abbiamo letto che nel mondo ogni tre secondi muore un bambino semplicemente… per povertà”. Leggete bene l’apertura fulminante di questo editoriale. È di Matteo Renzi giornalista.

Matteo Renzi in giovane età è stato anche “caporedattore”. Nella redazione di Camminiamo insieme, giornale degli scout Agesci

Matteo Renzi, neo direttore de Il Riformista, oltre che leader del partito personale Italia Viva, nonché conferenziere per il poco democratico principe saudita bin Salman, nonché maratoneta a tempo perso. Nonché ex pilastro inamovibile del partito unico del cosiddetto Terzo polo, che chissà mai se si farà, in giovane età è stato anche “caporedattore”. Nella redazione di Camminiamo insieme, giornale degli scout Agesci, l’ex presidente del Consiglio si firmava Zac, in onore del personaggio biblico Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico, che salì su un sicomoro: da sopra i rami dell’albero volle vedere l’Uomo della Galilea. Già giovanissimo Renzi aveva capito che l’arrampicata (in senso stretto e in senso figurato) è la chiave per la svolta.

Dalle citazioni di Mike Bongiorno al G8 di Genova. Il direttore del Riformista prometteva bene

Ci sono nel Renzi “Zac” caporedattore tutti gli stilemi del politico imprenditore di sé stesso. Nel suo editoriale “cambiare cuore o canale” (era il numero del 22 gennaio del 2001) il giovane Matteo discetta di cuore e di mente, coltivando gli slogan con cui ha provato a rottamare la politica: “Strana la storia della parola “cuore”. – scrive Renzi -. Oggi vanno di moda le frasine stile cioccolatini, che invitano a seguire il cuore, ad assecondare il proprio istinto. Hanno rovinato persino la bellissima frase di quel grande filosofo che fu Blaise Pascal “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”; l’hanno devastata immaginando che cuore e ragione siano due cose incompatibili, l’un contro l’altra armata. Ed invece non è così: il cuore è, sin dall’antichità, l’organo della ragionevolezza, dell’intelligenza. E la frase di Pascal sta a dire che il cuore non va contro la ragione, ma arriva oltre i confini davanti ai quali la ragione si arresta”.

Chissà se è il cuore o la ragione che l’ha convinto ad abbandonare la politica come promesso dopo il referendum o a stringere affari con un sultano che fa a pezzi i giornalisti oppositori. Ma andiamo avanti. Tra frasi a effetto tubate a Kennedy, l’editorialista Renzi incita i suoi compagni scout a non arrendersi passando da una poesia di Rodani a Mike Bongiorno: “Davanti alle cose difficili ci si può arrendere oppure ci si può credere fino in fondo. Mettiamola semplice, – scrive Renzi nel numero di febbraio 2001- parafrasando il noto opinionista Mike Bongiorno: davanti a ciò che non va, a ciò che costa fatica, o si lascia o si raddoppia”.

Che Mike Bongiorno fosse un “opinionista” secondo il nostro caporedattore dimostra una confusione già antica sull’autorevolezza che non è direttamente proporzionale alla popolarità. Chissà che ne direbbe Mike Bongiorno di un ex caporedattore che motivava i suoi citandone estasiato il pensiero e che poi con gli anni abbia abusato, proprio lui, della parola “competenza” per stagliarla contro i suoi avversari politici.

E la politica Nel numero dell’8 giugno del 2001 l’ex giornalista e presidente della Regione Lazio a pagina 15 tuonava contro l’Olanda che “dopo avere legalizzato la prostituzione e i matrimoni gay” stava pensando all’eutanasia: Dio non ha più l’ultima parola” tuonava Badaloni e Zan Renzi in ultima pagina vergava invitava a “scegliere la vita contro la cultura della morte”.

Come una Meloni o un Salvini qualsiasi. Affinità elettive fin da giovane. Nello stesso pezzo Renzi, al solito, impartisce lezioni di vita con frasi da baci Perugina: “C’è qualcosa di straordinariamente affascinante nel riempire uno zaino, – scrive Renzi – nel caricarselo sulle spalle, nell’allacciarsi i soliti scarponi, nel respirare profondamente e nel partire. Perché – come direbbe qualche prestigiatore da tre lire – “non c’è trucco e non c’è inganno” nel nostro stare sulla strada. Siamo noi, i nostri pensieri, i nostri amici senza maschere; è la nostra vita, che si mette umilmente in marcia, in marcia verso l’Infinito”.

“Frasi fatte?”, scrive Renzi. Lui dice di non crederlo. Noi un po’, lo ammettiamo, sì. Sempre a proposito di impronta politica conviene rileggersi l’editoriale di Renzi a luglio di quell’anno, quando il mondo rimase sconvolto per la violenza delle nostre forze dell’ordine al G8 di Genova contro i manifestanti. Tutti i giornali di tutto il mondo sottolineavano la carneficina del braccio armato del governo. Zac Renzi no. “Ci sono poche cose più stupide al mondo che immaginare che si possano aiutare i poveri facendo violenza. Sprangare vetrine e bruciare macchine, ferire forze dell’ordine e mettere a fuoco città non è il modo per rispondere all’ingiustizia”, scriveva Renzi mostrando già così giovane un’invidiabile capacità di leggere la realtà sempre dal lato sbagliato, in attesa che i fatti lo smentiscano con il tempo.

“Il nostro nemico – scrive Renzi – non è un avversario invisibile, come ci siamo provocatoriamente chiesti nella prima pagina. Il nostro nemico non è nemmeno la globalizzazione o la politica. Il nostro nemico non è men che mai un ragazzo come noi che fa il carabiniere, né un capo di stato, né un’ideologia. Il nostro nemico siamo noi. Siamo noi quando ci abbandoniamo alla pigrizia e alla rassegnazione; ma anche quando, arroganti, pensiamo di cambiare il mondo senza cambiare noi stessi. Siamo noi quando cediamo alla banalizzazione, a credere a quello che ci dicono senza informarsi davvero. Senza capire davvero”.

Sì, avete letto bene: ci sono dentro tutti gli artifici retorici che usa ancora oggi. Solo una cosa era davvero inimmaginabile in quel lontano 2001: che ci potesse essere gente dentro e fuori il Partito democratico così spericolata da ritenere Renzi un portatore di pensiero non dico di sinistra (bestemmia!). Ma lontanamente progressista. Ci sono, negli articoli di Renzi, tutte le caratteristiche del reazionario smart fin da giovane. Un anziano imbolsito che sa usare un vocabolario empatico per apparire giovane e intanto assecondare la propria natura. Non male.

Sulla guerra, ad esempio, scriveva Renzi: “Talvolta in clan siamo di quelli che si preoccupano della pace nel mondo, della fine dei conflitti, e poi in casa, in comunità siamo in perenne lite con il mondo fuori”. Fa un certo effetto rileggerla oggi, eh? C’è il suo amore per le crisi: “Ma se viviamo aspirando alla libertà, anelando l’Infinito, respirando la nostalgia di una felicità senza tramonto, allora – scrive Renzi – crisi è la parola per noi. Non riduciamola a questioncina da tre lire, a problemuccio pissssicologggico: essere in crisi, sembrerà un paradosso, è la condizione per essere felici, davvero”.

E in effetti nelle crisi (provocate) Renzi ha sempre ritrovato un po’ di felicità. Quella di autopreservarsi fingendo di occuparsi di altro. Un cosa che gli viene benissimo. Compreso questo nuovo giro a Il Riformista.

 

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