Un nuovo processo per la trattativa Stato-Mafia. La richiesta è della procura generale della Cassazione nei confronti dei carabinieri del Ros, il generale Mario Mori e gli ufficiali Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. I rappresentanti dell’ufficio della pubblica accusa hanno chiesto la conferma della assoluzione per l’ex senatore Marcello Dell’Utri. La sentenza d’appello da annullare secondo la Procura generale della Cassazione “sviluppa la trattativa negli anni, ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia e di come sia stata rivolta al governo”.
Un nuovo processo per la trattativa Stato-Mafia. La richiesta è della procura generale della Cassazione nei confronti di Mori, Subranni e De Donno
Per questo – nelle conclusioni – si sottolinea che “in parziale accoglimento dei ricorsi degli imputati ricorrenti e della Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo, annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla minaccia nei confronti dei governi Amato e Ciampi”. Sempre secondo i rappresentanti della pubblica accusa è “necessario annullare la sentenza con rinvio” per le assoluzioni dei carabinieri Mori, De Donno e Subranni anche perché almeno una parte delle prove a supporto della sentenza impugnata “sono desunte indiziariamente” e non dimostrano le accuse “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Perché “a questa esigenza di certezza processuale, la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto e difettosa sul piano motivazionale”. Il giudizio d’appello – è stato detto – non fa una precisa ricostruzione della minaccia al governo e lo fa solo in modalità congetturale. E poi il “percorso logico seguito dalla corte d’Assise si nutre di alcuni elementi viziati – si aggiunge – non può non convenirsi con la difesa, sul fatto che la sentenza si affidi a una serie elementi carenti dei requisiti di gravità e precisione”.
Secondo la Procura generale, i fatti storici non sono dimostrati “oltre ogni ragionevole dubbio“: “a questa esigenza di certezza processuale, la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto e difettosa sul piano motivazionale”, perché “descrive la trattativa negli anni ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia e di come sia stata rivolta al governo, e lo fa solo in modo congetturale”.
In particolare, il provvedimento d’Appello “manca di indicare il preciso contenuto delle richieste” rivolte da Cosa nostra a Giovanni Conso, ministro di Grazia e giustizia nei governi Amato e Ciampi: solo conoscendo quel contenuto, argomentano i magistrati, si sarebbero potute fare “valutazioni di merito essenziali per sostenere logicamente le conclusioni sull’integrazione del delitto”, valutazioni “che non risultano effettuate nella sentenza impugnata”.
All’esame del collegio, composto da cinque magistrati, c’è la sentenza di 2.791 pagine emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, che il 23 settembre 2021 ha ribaltato la decisione di primo grado assolvendo “per non aver commesso il fatto” l’ex senatore Marcello Dell’Utri e “perché il fatto non costituisce reato” gli ex generali del Ros dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni e l’ufficiale Giuseppe De Donno.
In quel caso furono confermate solo le condanne al boss corleonese Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni) e quella al medico Antonino Cinà (12 anni). Ma il processo sulla trattativa, questo si sa bene, ormai è diventato solo un ulteriore randello per i garantisti pelosi o per i delatori della magistratura antimafia di questo Paese. Interessa solo agli addetti ai lavori e ai persecutori dell’impunità. Interessava anche a Massimo Giletti che nella sua trasmissione avrebbe voluto parlarne nelle prossime puntate. Ma il programma di Giletti non c’è più.
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