Forse a molti non è chiara la gravità della situazione. Mentre le temperature rimangono ancora relativamente basse e la primavera fatica a fare capolino, la situazione siccità rimane gravissima in tutta Italia. L’ultimo allarme arriva dal fiume Po. Secondo l’Anbi, al rilevamento finale di Pontelagoscuro la portata è scesa a toccare mc/s 338,38, cioè oltre100 metri cubi al secondo in meno del minimo storico di aprile e ben al disotto dei mc/s 450, considerati il limite sotto cui il fiume è inerme di fronte alla risalita del cuneo salino.
Non solo: nel siccitosissimo 2022 questi dati vennero registrati il 4 giugno, vale a dire che il più importante corso d’acqua italiano vive una condizione di crisi idrica estrema, da monte a valle, con ben 40 giorni di anticipo sul già drammatico anno scorso. Altro dato allarmante è quello delle riserve idriche della Lombardia: manca il 58,4% di risorsa rispetto alla media storica ed il 12,55% sul 2022. Cresce anche il deficit di neve, che si attesta a – 68,8% rispetto alla media, cioè quasi il 10% sotto il minimo storico ed il 20% in meno rispetto al già deficitario 2022. Secondo Utilitalia, poi, i Comuni al massimo livello di severità idrica sono 13, tutti concentrati in Piemonte. A soffrire particolarmente sono le aree agricole: il 35,3% negli scorsi 24 mesi, ha sofferto di siccità severa-estrema. Certo, l’arrivo dell’ultima perturbazione che ha portato pioggia ha in parte salvato le semine, sottolinea la Coldiretti, ma se insieme alle precipitazioni giungessero anche temporali e grandine si rischierebbe di “provocare danni irreparabili alle coltivazioni e ai frutteti ma anche frane e smottamenti poiché i terreni secchi non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento.
Un rischio per la produzione agricola nazionale dopo che il brusco abbassamento delle temperature notturne con gelate tardive dei giorni scorsi al centro nord ha colpito duramente le coltivazioni con danni a macchia di leopardo fino al 70% a gemme e piccoli frutti sugli alberi di susine, ciliegie, albicocche, pesche ma anche su meli, peri, kiwi e vigneti già in fase avanzata di vegetazione”. “Settimana dopo settimana si aggrava la situazione idrica nel Nord Italia con crescenti conseguenze sull’economia e l’ambiente dei territori. Se l’anno scorso, la siccità costò 13 miliardi al sistema Paese, il 2023 si preannuncia peggiore nell’attesa del via operativo a piani e provvedimenti indispensabili per incrementare la resilienza alla crisi climatica”, commenta Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi. E Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità distrettuale del fiume Po, non vuole parlare di emergenza: la situazione preoccupa, ma va “affrontata con una strategia convinta ed incisiva che guardi ad un orizzonte di medio-lungo periodo come strategia di adattamento al cambiamento climatico più a largo spettro”.
Un altro esempio? Secondo la Fondazione Cima, Centro Internazionale per il Monitoraggio Ambientale, ad aprile in Italia il deficit di neve si stabilizza a -64% rispetto a 12 anni fa. “Siamo giunti ormai alla metà di aprile, lasciandoci alle spalle i giorni nei quali, storicamente, si segna il picco di accumulo della neve in Italia, quelli intorno alla metà di marzo – si legge nell’analisi -. In altre parole, oggi i conti che possiamo fare per quanto riguarda la neve italiana sono quelli conclusivi per la stagione 2022/23, sui quali possiamo e dobbiamo basare le nostre strategie per la gestione idrica dei mesi a venire. E, purtroppo, non fanno che ribadire un andamento osservato nel corso di tutti i mesi invernali: poche precipitazioni e temperature miti che hanno portato a un significativo deficit di neve rispetto al decennio passato. Con questa scarsità dovremo fare i conti per le nostre necessità d’acqua in primavera ed estate”.
Buon venerdì.