Ogni mattina dalle parti del governo si alzano dal letto con la preoccupazione di insozzare un diritto, una festa dei diritti, una commemorazione. Non è solo una questione di diverse visioni politiche. È un trafelato arrancare per imporre un’egemonia culturale solo che non avendo nessuna cultura le energie sono rivolte a deturpare quelle degli altri.
Per il Primo maggio Giorgia Meloni, spalleggiata da Matteo Salvini, ha pensato che inscenare un Consiglio dei ministri fosse il modo migliore per disconoscere la festa.
Dopo il 1945 si tornò a festeggiare il Primo maggio poiché prima si rischiava l’arresto. Ora l’imperativo è insozzarlo.
La presidente del Consiglio rinuncia alla conferenza stampa. Si rende conto che riunire i ministri il primo maggio per partorire un decreto che allarga le maglie della precarizzazione e incorona l’Italia come Repubblica fondata sullo sfruttamento è troppo anche per lei. Che si fottano i giornalisti che stavano lavorando (appunto) in attesa delle parole della premier, che si fotta anche la ministra Calderone che sarebbe scesa in conferenza stampa ma è stata fermata da Palazzo Chigi.
Se non c’è dignità nel lavoro per loro la soluzione è legittimare il lavoro dalle condizioni indegne
Giorgia Meloni illustra il decreto lavoro con un video che fa rimpiangere perfino la Venere della Santanché. Almeno quella non abbozzava propaganda per giustificare la sua inutilità. Rilanciano sul taglio del cuneo fiscale (per auliche mese) rivendendo ai lavoratori la grande vittoria di avere guadagnato (forse) una pizza in più. Hanno compresso le risorse per la povertà, demolendo il Reddito di cittadinanza senza una reale alternativa, e hanno nobilitato il lavoro precario e sfruttante. Se non c’è dignità nel lavoro per loro la soluzione è legittimare il lavoro dalle condizioni indegne.
Dopo il 1945 si tornò a festeggiare il primo maggio poiché prima si rischiava l’arresto. Ora l’imperativo è insozzarlo. Giorgia Meloni prende a schiaffi i lavoratori nel giorno della Festa del lavoro. Ora vedrete che ai lavoratori, dopo gli stipendi da fame, dopo i diritti perduti, dopo le accuse di sfaticare quando non accettano di diventare schiavi, ora ai lavoratori chiederanno di porgere anche l’altra guancia.
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