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Azione non gli serve più. Ora Renzi può spedire Calenda nel Gruppo Misto

La sceneggiata di Renzi e Calenda che litigiosamente ballano sulle macerie del cosiddetto Terzo polo si trascina di giorno in giorno. Ad alimentare le baruffe chiozzotte c’è Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che spara contro l’alleato dalle pagine del giornale di cui è direttore, Il Riformista, fedele alla linea di non rispettare mai nemmeno uno straccio di promessa: “Non userò Il Riformista per interessi di partito”, disse il senatore fiorentino che ora agita il quotidiano come un randello per dirimere le sue questioni interne. Dall’altra parte Carlo Calenda, leader di Azione, diventa ogni giorno più scuro e accentua la sua straboccante opinione di sé.

La telenovela

A pesare è la diaspora di calendiani che negli ultimi giorni si sono dimessi da incarichi direttivi o sono passati direttamente tra le braccia di Renzi, accomunati dall’insofferenza per la chiusura del dialogo con Italia Viva. I renziani sorridono accennando all’Operazione Carletto, come da quelle parti chiamano il premeditato affossamento di Calenda e della sua creatura politica.

Per portare a compimento il “capolavoro” (come lo definisce un parlamentare renziano, fiero del machiavellismo del capo) servivano due senatori in più per avere i numeri per un gruppo autonomo. Missione compiuta. Il primo è stato Enrico Borghi che ha abbandonato il Pd accusando Elly Schlein delle peggiori malefatte, quasi tutte presunte. Poi Renzi ha cercato di isolare Calenda insinuando che Gelmini e Carfagna sarebbero tornate all’ovile, per riprendersi in mano Forza Italia ormai allo sbando. E infine è toccato a Naike Gruppioni, deputata eletta nelle file di Azione.

A questo punto Calenda, come al solito, ci ha messo del suo per peggiorare le cose: prima ha confessato davanti ai suoi elettori di non aver mai parlato e sentito parlare Gruppioni, smentendo in pochi secondi tutta la sua narrazione sulla “competenza” e sulla politica basata sul merito. “Colpa della legge elettorale”, ha detto Calenda, provando a negare perfino la responsabilità di candidare qualcuno.

Ma la fotografia di una temperatura altissima è quel Calenda ospite in una trasmissione televisiva che racconta l’origine del fu Terzo polo, dicendo di un Renzi che l’avrebbe rassicurato di prendere “un pacco di soldi dagli arabi” che se ne sarebbe stato buono in disparte lasciandogli in mano le redini del gioco.

Da Italia Viva fanno sapere che il chiarimento (e la presumibile rottura dei gruppi) avrebbe dovuto essere calendarizzato per sabato ma Raffaella Paita, presidente del gruppo Azione-Italia viva in Senato, spiega che “seguire i cambi di opinione di Calenda richiede la pazienza di Giobbe”: “Ieri alle 17.25 – dice Paita – ho convocato la riunione per sabato (domani, ndr), online. Alle 17.28 Calenda ha ringraziato confermando la presenza. Adesso ha cambiato idea e vuole cambiare giorno. La verità è che questo modo di fare è inspiegabile: va nei talk a insultare Renzi ma non accetta che se ne parli in riunione di gruppo”.

Calenda alza i toni: “Faranno la riunione tra di loro e noi leggeremo il loro comunicato stampa”, sibila inferocito ai giornalisti”. Tutto rinviato a martedì. Dove i due litiganti arriveranno con ancora più pesti di botte. Il cosiddetto Terzo polo non era neppure un polo. Chi l’avrebbe detto? Tutti. Tranne Calenda.

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