Si chiamano The Borderline e sono un gruppo di ragazzi che si cimentano in diverse sfide (“challenge”, le chiamano sui social) all’apparenza senza senso e pericolose. Il loro nome è sulla bocca di tutti e appare su tutti i giornali perché proprio da una loro sfida (50 ore su una Lamborghini senza mai scendere) è nato l’incidente che ha ucciso Manuel Proietti, 5 anni, è morto al pronto soccorso del Grassi, dove era stato portato d’urgenza. La madre Elena Uccello, 28 anni, aveva appena recuperato il figlio all’asilo, in auto con loro anche Aurora che di anni ne ha 3, e stava tornando a casa con la sua Smart a Casal Palocco, tra Roma e Ostia.
Fra palco e realtà
Per ora iscritto nel registro degli indagati (per omicidio stradale) c’è solo il ventenne che probabilmente guidava la Lamborghini, Matteo Di Pietro, risultato anche positivo ai cannabinoidi. Al vaglio degli inquirenti, che ieri hanno perquisito la sede degli Youtuber, c’è anche la posizione degli altri quattro presenti, ai quali sono stati sequestrati gli smartphone. Alcuni testimoni raccontano che anche subito dopo l’incidente mortale siano scesi dall’auto con i telefonini in mano per riprendere la scena, forse ridendo.
L’indignazione, manco a dirlo, è stata unanime. La vita persa di un bambino di fronte all’imbecillità di alcuni ragazzi è una corda che risuona facilmente, condivisibili per tutti. La reazione è la tipica reazione italiana di questi tempi. Sociologi intervistati per raccontarci “i giovani d’oggi” che dimostrano di non avere mai fatto un salto su un social qualsiasi. Bacchettoni che sfruttano la tragedia per umiliare una generazione e seguire la narrazione del dove andremo a finire signora mia. Il dramma è un genere che funziona, soprattutto se si riesce a rivendere con l’avviso “se succedesse a te” che in questo caso – a differenza dei bambini morti rinchiusi nella stiva in mezzo all’Egeo – è di facile empatia.
Così la notizia di cronaca diventa un boccone prelibatissimo per quintali di editoriali generalisti. Ma è andata perfino peggio di così. Il ministro Matteo Salvini – che sull’uso sconsiderato dei social meriterebbe una laurea ad honorem – indossa la maschera del moralista e del perbenismo e fa l’unica cosa che è capace di fare: annuncia una nuova legge. Dopo l’emergenza “rave” il leader della Lega si immagina “un’emergenza YouTube” da dare in pasto al prossimo inutile Decreto legge con annessa conferenza stampa (alla quale, quelle sì, anche la presidente Meloni parteciperebbe volentieri).
“Se sei recidivo e togli la vita a una persona perché sei un cretino al volante, tu la patente non la vedi più per il resto dei tuoi giorni, non è che te la sospendo per qualche mese”, dice Salvini. Una frase che non c’entra nulla con l’incidente di Casalpalocco. L’europarlamentare Pd, Pina Picierno, propone di sospendere la monetizzazione dei “contenuti sensibili” sulle piattaforme.
“Guardiamo la triste realtà – ha scritto su Facebook -, molti youtuber diventano cattivi maestri per aumentare le loro views”. Si potrebbe togliere anche la monetizzazione ai politici che usano contenuti sensibili per la propaganda, tanto che ci siamo. Impareggiabili i liberali di casa nostra. Calenda spara addosso ai ragazzi sui social chiedendosi che fine abbia fatto “l’ethos della società occidentale”, Cerasa firma un accorato editoriale su Il Foglio preoccupandosi perché trovare un ragazzo positivo alla cannabis un giorno potrebbe “non essere più illegale”. Non sa che nemmeno oggi lo è. Tra l’altro entrambi rilanciano i loro pensieri sui social. Fine dell’indignazione, aspettando la prossima.
L’articolo Sfide folli sui Social per fama e denaro. Dalla politica il solito vuoto di idee. Sale la rabbia per il bimbo ucciso da uno youtuber a Roma e Salvini ci si tuffa proponendo un’altra legge inutile sembra essere il primo su LA NOTIZIA.