La mattina di Ferragosto del 1962 Bruno Cortona, 36enne vigoroso ed esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, schizzava per le vie di Roma con la sua Lancia Aurelia B24 convertibile. Dopo un sorpasso azzardato, per evitare l’impatto con un camion che arrivava dalla parte opposta, sterzò violentemente. Lui venne sbalzato fuori dall’auto che finì in una scarpata. Il suo passeggero, un giovane di nome Roberto e di cui Cortona non sapeva nemmeno il cognome morì. L’inno alla spericolatezza sta dentro un film di Dino Risi, Il sorpasso. Il mito della velocità associata al rischio e del sorpasso azzardato come termometro di virilità fu uno dei capisaldi del boom economico. Si può facilmente immaginare che qualche incidente sia accaduto per emulazione. Nessuno si sognò mai di mettere sotto accusa il cinema italiano, di chiederne la chiusura per la veicolazione di messaggi che rischiavano di essere diseducativi. Così come nessuno si sognerebbe di chiedere la chiusura della letteratura per libri splatter (per di più brutti, a differenza del capolavoro di Risi) che hanno il culto della violenza come unica matrice letteraria. Così come nessuno chiederebbe di chiudere le gelaterie se un gelataio venisse condannato per pedofilia.
YouTube e i social sono luoghi: criminalizzarli tout court è un errore
Non commettere l’errore di criminalizzare un mezzo. Si potrebbe partire da qui per tirare le fila della vicenda in cui ha perso la vita Manuel Proietti, 5 anni, mentre tornava a casa con la madre, travolto da una Lamborghini guidata da Matteo Di Pietro, 20 anni, impegnato in una “challenge” che non è altro che una di quelle sfide sceme in cui si mette a rischio la propria vita e quella degli altri per diventare “popolari” tra gli amici. Solo che Matteo Di Pietro è anche uno dei membri del gruppo di youtuber TheBorderline, gli amici con cui vantarsi di fare lo scemo sono migliaia e le sue bravate gli fanno guadagnare soldi – molti soldi – oltre alle pacche sulle spalle degli amici. C’entra YouTube? C’entrano i social? Sì e no. YouTube è un luogo. Su YouTube gli scemi possono godersi gli incidenti, le risse e le imprese degli altri scemi senza bisogno di uscire di casa e senza creare ingorghi in autostrada. Accade, come sui social, che lo scemo del villaggio possa acquisire una popolarità ben oltre il baretto sotto casa. La violenza, la stupidità, perfino i poco rispetto per le altre vite umane esercita da sempre una sinistra fascinazione. Per ricevere lettere adoranti di fan scatenate Pietro Maso dovette uccidere i genitori, finire sui giornali e in televisione. Oggi gli sarebbe bastato un video su TikTok in cui avrebbe annunciato di ritenere il denaro e la bella vita una priorità ben più importante degli affetti familiari. Con quella faccia, con il suo foulard, avrebbe avuto un gran successo, sicuro.
Non esiste una “generazione” che usa male i social e una “generazione” che li nobilita. Esistono – questo sì – irresponsabili che diventano un modello. Mica solo su YouTube. Matteo Messina Denaro viene mitizzato su TikTok da persone che ne onorano il mito anche in casa e per strada
Il rischio dell’ennesima guerra generazionale
Secondo errore da non commettere. Non dare l’idea di usare un presunto omicidio stradale (si può essere garantisti anche quando non si tratta di ministri, presidenti del Consiglio e sottosegretari, provateci) per accendere una guerra generazionale. Uno dei miei figli, l’altro ieri, con un moto di rabbia ha preso le difese di quei fessi sulla Lamborghini. Son rimasto stranito. Parlandoci ho colto che il punto era un altro: un eccesso di difesa (sbagliata nei modi) contro la criminalizzazione della sua generazione. Quello “youtuber” usato come clava è una disinformazione. Su YouTube e sui social girano contenuti belli e importanti. Oggi verrà rilanciato anche questo articolo. Non esiste una “generazione” che usa male i social e una “generazione” che li nobilita. Esistono – questo sì – irresponsabili che diventano un modello. Mica solo su YouTube. Matteo Messina Denaro viene mitizzato su TikTok da persone che ne onorano il mito anche in casa e per strada. Il film Il Padrino viene usato come favoreggiamento culturale da persone che adorano il crimine anche nella vita reale.
Chi ha guadagnato e continua a guadagnare dalle tragedie
Quindi cosa fa schifo in tutta questa storia? L’avidità criminale. Se è vero che le dinamiche dell’incidente sono indagate dalla Procura è altresì vero che i comportamenti dei TheBorderline sono sotto gli occhi di tutti. I ragazzotti, ancora sporchi di lamiere, hanno avuto l’indole di monetizzare perfino la tragedia. Qualche testimone racconta che abbiano continuato a filmare anche dopo lo schianto. Lo appureranno le indagini. Di sicuro hanno goduto di un’impennata di visualizzazioni e di follower sul loro canale che ha continuato a monetizzare. Così per difendersi dall’accusa di lucrare sul rischio (e in questo caso perfino su morto) hanno pubblicato un video di lutto sgangherato che ha rafforzato il branding. «Quel video non era monetizzato», li difende qualcuno. Ci mancherebbe. Ma per attingere al loro lutto hanno invitato tutti nel loro negozio degli orrori. Dopo la tragedia di Casalpalocco 30 mila visualizzazioni hanno rimpinguato le casse dei TheBorderline e di Google. Negli Usa, a quanto risulta a Lettera43, hanno fatto orecchie da mercante. Nessuno aveva intenzione di chiudere la monetizzazione sul canale, anzi. Solo l’insistenza del team italiano ha fatto sì che ciò accadesse. E così ieri YouTube ci ha messo una pezza. «Siamo profondamente addolorati per la tragedia. Abbiamo rimosso gli annunci dal canale The Borderline in conformità con le nostre norme sulla responsabilità dei creator a seguito di comportamenti dannosi per la community di YouTube. Ogni creator di YouTube dovrebbe rimanere responsabile sia all’interno che all’esterno della piattaforma. Di conseguenza questo canale non può più guadagnare dalla pubblicità», ha spiegato un portavoce. Con un certo ritardo si è intervenuti su un sistema mostruoso che dovrebbe cogliere l’occasione per interrogarsi. Anche in questo caso senza cadere nell’errore della settorizzazione. Pensateci: quanto hanno guadagnato i media trafugando gli aspetti più intimi nell’omicidio di Giulia Tramontano? Pensateci. Il problema qui non è solo YouTube.