Bassel Bakdounes, a leggere i giornali di questi giorni sembra che lei sia diventato il simbolo dell’imprenditoria da non fare. Vastiamo dall’inizio: che è successo alla sua azienda
“La mia azienda è stata un modello per diversi anni. Purtroppo, per alcune concause e mie scelte sbagliate, non sono riuscito a risolvere la situazione di tensione creatasi dopo il primo anno di Covid anche in seno ad alcuni comportamenti scorretti di alcuni “professionisti” che ci han messo in ginocchio. Ci dovevo arrivare prima Sì. Avrei dovuto ascoltare chi mi consigliava di stare attento? Sì. Ho sbagliato, ma gli errori non sono nel modello Velvet ma nelle mancanze del sottoscritto. Non tollero si utilizzi strumentalmente questa vicenda per attaccare un modello imprenditoriale che era ed è il futuro”.
Qual è il modello aziendale che secondo lei si cerca di attaccare?
“Il modello Velvet è stato per anni tra l’innovativo ed il rivoluzionario, per lo meno per la nostra Italia. Negli ultimi due anni le cose si sono complicate per ragioni che sono totalmente estranee a concetti di smart working, cani in ufficio, lavoro per obiettivi et similia. Sono concetti che possono spaventare? Si, me ne rendo conto. Ma trovare espedienti per demonizzarli è scorretto. Siamo diventati noti a livello nazionale per il My Way Work, ossia per la modalità di lavoro completamente libera: il dipendente aveva tutte le tutele del contratto stabile e a tempo indeterminato, ma anche tutti i vantaggi della partita iva. Sceglieva se e quando presentarsi in azienda, ovviamente il tutto organizzato in una strategia di lavoro per obiettivi. A molti non è piaciuta questa nostra fuga in avanti, proporre un modello che la norma non prevedeva ancora possibile”.
Perché secondo lei certa stampa (e quindi certa imprenditoria) è così spaventata da un nuovo paradigma del rapporto tra dipendenti e imprenditori?
“Il nuovo fa paura. Da sempre. Il cambiamento fa paura. Normalmente sottende un riposizionamento e una ridiscussione di ruoli e gerarchie… penso sia facile capire che può spaventare chi è inchiodato allo status quo. Credo che chi debba temere questo modello siano in particolare gli imprenditori vecchio stampo, ma anche il mondo della rappresentanza dei lavoratori che, spesso, si muove ancora come se fossimo nell’Ottocento”.
Quel modello di impresa innovativa è comunque il futuro, anche qui da noi?
“Ne sono certo. Tutto deve andare, ed andrà, in una dimensione più Human, più vicina alle esigenze delle persone, delle famiglie. Tutto tende in quella direzione. Ovvio, va fatto nel rispetto di risultati operativi, e va gestito sapientemente caso per caso, azienda per azienda, settore per settore… ma questo è già un altro tema”.
Da uomo che ha sempre lavorato nella comunicazione cosa pensa dell’atteggiamento di certa stampa sulla colpevolizzazione dei giovani, sul mito della meritocrazia e sui molti luoghi comuni da cui sembra che non riusciamo a liberarci?
“Speravo che il passaggio offline/online avrebbe migliorato un’attitudine poco cool di certa stampa, pronta a rincorrere il titolone anziché la vera informazione. Mi son sicuramente sbagliato, vorrei dire che, nel caso di specie, c’è stata, al contrario, una sorta di involuzione che sta spingendo tutto verso una spasmodica ricerca di sensazionalismo da clickbait, tralasciando sovente la vera informazione. Questo genera odio, l’odio genera commenti, i commenti generano traffico, il traffico muove i soldini… fine del gioco”.
Qualcuno sui suoi social scrive che “spera che lei smetta di fare l’imprenditore”: “ha fatto lavorare dipendenti e fornitori consapevole di non poterli pagare ed ora con la retorica fa mea culpa per avere un gran finale da eroe? Gli eroi salvano le persone non le fanno sprofondare”…
“Ah beh questo è il minimo! Grazie al tenore delle uscite mediatiche ho ricevuto minacce, di e non vado oltre… Ora, io non ho moglie o figli, ma penso a quando cose del genere capitano a chi ha una famiglia a casa. Alimentare odio è grave. Quanto alla persona in questione sappiamo chi è, roba da legali. Tutti stan cercando visibilità dietro al caso Velvet. Sono tutti CT quando gioca la Nazionale. Solo non capisco perché usare i social quando hanno il mio numero. Ho sempre lo stesso numero da oltre 20 anni. Non mi chiamano, come mai?”.
Se dovesse dare un consiglio a qualche giovane, alla luce degli errori che ha riconosciuto, cosa gli direbbe?
“Sicuramente di essere accorto nella selezione delle persone. Di avere il coraggio di prendere decisioni difficili anche quando si tratta di tagliare personale. Io non ce l’ho fatta. È stato il mio più grande errore. Ero convinto di potercela fare, ma è mancato un soffio. Basta un ramo malato per infettare l’albero, e spesso, quando te ne accorgi, come nel mio caso, è già troppo tardi”.
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