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Perché usare la parola populismo a caso dovrebbe essere reato universale – Lettera43

Magari a settembre, nel mese in cui è stato rimandato tutto il rimandabile, si potrebbe anche fare una legge che dichiari reato universale utilizzare la parola “populismo” ad mentulam canis per condonare mostruosi errori di comunicazione che pretendono di travestirsi da serietà e competenza.

Perché sventolare la busta paga da parlamentare come ha fatto Fassino è quantomeno inopportuno

Si potrebbe cominciare, per esempio, spiegando a Piero Fassino che sventolare la busta paga da parlamentare in un Paese con tre milioni e mezzo di lavoratori che con il loro stipendio non riescono a galleggiare sopra la soglia di povertà è stupido per una lunga serie di motivi. È stupido perché è inopportuno e la politica ha l’obbligo morale di aver contezza della realtà fuori dal Palazzo quando decide le priorità a cui dedicarsi e i modi con cui parlare. È stupido perché è un regalo agli avversari politici e in qualsiasi altro mestiere se qualcuno favorisce un concorrente viene considerato un fesso. È stupido farlo mentre in Emilia-Romagna si aspettano i primi spicci, mentre i percettori del Reddito di cittadinanza aspettano indicazioni, mentre alcune famiglie hanno a che fare con figli diventati orfani per decreto, mentre malati aspettano mesi per avere una diagnosi, mentre i siciliani lottano con il fuoco per non perdere tutto, mentre i milanesi ancora stano raccogliendo gli alberi, mentre il costo della benzina sale senza spiegazione. Chi ce l’ha con Fassino non è un populista. Troppo facile. Chi legittimamente contesta l’uscita di Fassino sta esercitando il suo diritto di sottolineare l’inopportunità.

Renzi dovrebbe capire che la parola ‘populista’ non può essere la risposta a tutto

Si potrebbe spiegare, per esempio, a Matteo Renzi che la parola populisti non può essere la risposta a tutto. Se il suo ex amico Carlo Calenda fa notare come sia inopportuno (appunto) bighellonare festaioli nel locale della ministra a cui si chiedeva un passo indietro pur non votando la mozione di sfiducia non è populista. Esprime una legittima opinione che tra l’altro appartiene a una buona fetta del Paese. Almeno che essere popolari non significhi essere populisti. “Populisti” ormai è l’offesa pronta per ogni occasione quando ci si vuole iscrivere alla categoria dei competenti. Hai dubbi sulla gestione del conflitto dopo l’aggressione russa in Ucraina? Sei populista. Sei contrario a investire nelle centrali nucleari per motivi economici, di sicurezza o semplicemente perché non c’è abbastanza tempo a disposizione? Sei populista. Pretendi che il Parlamento non si prenda un mese di ferie in un momento cruciale per la stabilità sociale? Vergognati, populista.

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Matteo Renzi (Imagoeconomica).

Populisti di sinistra e di destra: l’impossibilità di una definizione condivisa

Il populismo viene applicato dappertutto, a destra e a sinistra. Sono populisti partiti di sinistra come il greco Syriza e lo spagnolo Podemos, e di destra come il britannico Ukip e il tedesco Alternative für Deutschland. Mattia Zulianello, professore all’Università di Trieste che studia i populismi da anni, spiega che esistono populismi per tutti: il populismo neo-liberale, il social-populismo, la destra radicale populista. Un definizione condivisa è impossibile da trovare. Quando qualche studioso scrive di populismo la sua definizione piace a quelli che non si intendono riconoscibili e dispiace agli altri. Cas Mudde, politologo olandese e docente all’Università della Georgia, ha dato al populismo la definizione più condivisa tra i suoi colleghi. Secondo il professore, il populismo è una ideologia dal centro sottile che considera la società divisa in due gruppi: un popolo virtuoso e le élite corrotte; il popolo insegue la volontà generale e la politica deve essere espressione di questa volontà. Spiega Mves Meny, studioso francese e docente universitario di scienze politiche, che la guida politica «tendenzialmente chiamata portavoce, è un elemento caratterizzante dei movimenti populisti moderni. Sebbene infatti un’entità politica possa rientrare nell’alveo populista, oggi tutti i maggiori attori politici populisti dipendono dal leader». Secondo il docente francese «il discorso pubblico spesso viene indirizzato verso la drammatizzazione della realtà, verso l’esasperazione dei problemi a tal punto che emerge il bisogno di affidarsi al leader, considerato come salvatore o riformatore della politica, poco avvezzo ai compromessi. Intransigente e in grado di tradurre il linguaggio del politichese, perché le persone per bene non hanno tempo di seguire la politica di palazzo» e «il leader spesso abusa della violenza verbale per denunciare e esasperare i problemi delle istituzioni». Diego Ceccobelli, ricercatore in Comunicazione Politica presso la Scuola Normale Superiore, in un suo articolo per Valigia Blu scrive: «Prescindere dalle differenze tra l’uso quotidiano nel dibattito pubblico di populismo e la sua concettualizzazione dominante (sebbene con non poche critiche) in ambito accademico, appare evidente come più che permettere una migliore e profonda comprensione dei fenomeni politici, l’utilizzo concreto di questo termine stia nei fatti contribuendo a creare una confusione sempre più controproducente». Dare del populista a qualcuno è molto populista, quindi. Dare del populista a chi sottolinea un atteggiamento molto impopolare è populista. Quindi, per favore, smettetela.

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