C’è un mondo in subbuglio tra destrorsi e liberali italiani per la decisione del governo di tassare gli extraprofitti delle banche e aiutare gli italiani in difficoltà. La scena d’inizio agosto è un regalo che smaschera un “mondo di mezzo” che da mesi difendeva uno dei peggiori governi repubblicani convinti che “val bene un po’ di fascismo se vengono comunque difesi gli interessi giusti”.
Ripetono in ogni dove che Giorgia Meloni e Matteo Salvini siano la reincarnazione del comunismo più becero. Scrivono dappertutto, senza un minimo di vergogna, che le povere banche ora si ritrovano nella difficile situazione di essere diventate all’improvviso vittime del “pizzo di Stato”. Se vi capita di leggerli potete scorgere la sicumera con cui condannano gli sprovveduti che “hanno scelto il tasso variabile”, fingendo di non sapere che sia l’unica condizione di mutuo che viene concessa a chi non ha beni ereditati dalla nonna o da chi ha uno dei contratti farlocche che quello stesso mondo ha salutato con grande fervore.
In queste stesse ore risorge anche un altro mito: la competitività. Dicono le banche che non esiste competitività nel loro settore a causa della tassa improvvisa voluta dallo Stato. Strano che lo stesso lamento non si sia levato quando lo Stato sia intervenuto al contrario, per salvarle. Qui esce l’ipocrisia: certo mondo liberale italiano è composto da imprenditori che vogliono lo Stato quando si tratta di ripianare i debiti o quando si tratta di pagare i giornali che altrimenti non starebbero sul mercato. Sono liberali così: si dividono le perdite ma non si possono toccare i profitti.
Sono loro i veri sovranisti, ancor peggio di Meloni e Salvini. Solo che la loro patria è il cortile della loro fabbrichetta che va lasciata in pace. Osservarli mentre impazziscono perché vedono socialismo dappertutto è una scena che ci meritavamo, in questo agosto.
Buon mercoledì.