Non esistono intellettuali allineati. Quelli sono cantori, porta idee, intelligenze organiche alle dipendenze di un potere interessato a salvarsi dalla superficialità dei suoi ideali. Gli intellettuali non possono essere simpatici, utilizzano l’irriverenza come motore e osano nella terra che i benpensanti chiamano comunicazione. Gli intellettuali non piacciono. Se piacciono non servono, sono muti. La partenza di Michela Murgia, che molti brigano per contenere nel cassetto degli scrittori, è la testimonianza di un’intellettuale a cui bastano le parole, anche se la scelta di impiegare il proprio mestiere per entrare nel dibattito è sconveniente di questi tempi. Letteralmente, non conviene. Il consiglio è sempre lo stesso: smussati, calmati, lascia perdere, non intervenire. Pensa a scrivere libri, dicono, e non si accorgono di ripetere le stesse parole di chi ti combatte.
Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti
Qualcuno mi diceva che «scegliere di dividere il Paese non è un buon ufficio», riferendosi a Michela. Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti che hanno l’immobilità come più alta aspirazione. Ancora questa cretina convinzione che non possano esistere persone libere che prendono posizione per senso di giustizia (verso gli altri e verso se stessi), che tutto debba essere un’incessante valutazione dell’impatto sul pubblico, inteso come ammasso di clienti.
Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre
Michela Murgia è partita ripetendo che la libertà sta nel non sottostare alla voglia di compiacere. Dice di essere stata utile anche a chi la detesta perché con lei ha avuto l’occasione di autodefinirsi. Non c’è logoramento nelle voci che in queste ore usano il lutto come una clava per esprimere il proprio disprezzo. Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre. È diviso tra chi ritiene il fascismo una natura mai sopita e chi ritiene che il fascismo sia storia vecchia. È diviso tra chi ritiene gli ultimi i primi da soccorrere e chi li considera materiale umano di risulta. È diviso tra chi ritene i diritti solo se universali e chi progetta uguaglianze che valgono a cerchi. È diviso tra chi considera il dissenso un obbligo civile e chi lo vorrebbe spegnere chiamandolo tradimento.
La formula dell’intellettuale apolitico e sorridente è una truffa
La formula dell’intellettuale apolitico, sorridente, diligentemente settoriale e compiacente è una delle tante truffe di quest’epoca in cui l’imperativo è normalizzare l’indicibile, renderlo potabile, ungere l’incredibile. La partenza di Michela lascia un’eredità – lei stessa ha usato questa parola – di lotta. Colpire lei, anche adesso, ottiene l’effetto di saldare ancora di più le fila di chi si oppone alla cattiveria indecente come strumento di controllo. Scrive Michela Murgia: «Chi è differente, chi non si adegua (o non si integra, che è lo stesso), è quindi considerato a-normale e la conseguenza dell’a-normalità è sempre la discriminazione. Il contrario di quella brutta idea di identità non è infatti la differenza: è la disuguaglianza, la gerarchia di valore tra la soggettività normata e quella fuori norma. Così la norma bianca vede anormalità nella pelle nera, la norma benestante teme l’incontro con la povertà, la norma maschile riduce a eccezione il femminile e il cristiano impara a vedere nemico il musulmano. Invocare la differenza spiazza queste carte ed esige la molteplicità, perché per essere differenti occorre essere almeno in due. Fondarsi sulla differenza significa fondarsi sulla necessità della relazione ed è per questo che la ricchezza della differenza (e il suo rispetto) sono i fondamenti della democrazia, che senza dialettica tra le differenze non avrebbe ragione di essere». Non esistono intellettuali allineati. Il vostro dispiacere è la loro fortuna. E no, Michela Murgia non lascia solo i libri e le parole. Michela Murgia lascia rapporti saldi e lascia un solco.
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