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Il Jobs Act fu un flop. Ma il Matteo giornalista loda il Renzi politico

Matteo Renzi, non il senatore fiorentino proprietario di Italia Viva e nemmeno il conferenziere pagato dalla dittatura araba di Mohammed bin Salman, ma il direttore del quotidiano Il Riformista che aveva solennemente giurato che non avrebbe confuso il piano giornalistico con il piano politico, ieri ha scritto un editoriale per celebrare una riforma del Matteo Renzi, non quello di oggi ma il politico che era nel Pd e diceva “non è di sinistra fare piccoli partiti che non vinceranno mai”.

Renzi ha scritto un editoriale per il Riformista in cui celebra una riforma del Matteo Renzi, non quello di oggi ma il politico che era nel Pd

L’ha scritto per farci sapere che “ finché la sinistra non farà i conti con il Jobs Act non sarà mai credibile nel pronunciare la parola “lavoro”. “Ci è stata costruita addosso – scrive il Renzi editorialista leccando il Renzi politico – una narrazione populista: siamo stati dipinti come quelli che non vogliono il lavoro stabile e ben pagato ma che hanno permesso l’occupazione precaria e lo sfruttamento. La più grande panzana della storia politica italiana recente assieme all’abolizione della povertà per decreto”.

Secondo il leader di Italia Viva se il lavoro “è profondamente cambiato, in Italia e nel mondo”, “non lo abbiamo deciso noi”. Come dire: la precarietà sarebbe arrivata comunque noi semplicemente abbiamo agevolato il suo ingresso trionfante nel mercato del lavoro italiano. Non contento poi il direttore de Il Riformista rivendica anche i famosi “80 euro”. Del resto Renzi è colui che odia i sussidi ma ama follemente le mancette.

“Ma la sinistra estremista – scrive Renzi – ha capito che l’unico modo per sconfiggere il riformismo era mettere in circolo bugie e fake news, aggressioni personali sui social e nelle piazze e narrazioni strappalacrime contro gli sfruttatori. Il Jobs Act è diventato il nemico da abbattere. Il totem da bruciare. Lo scalpo da ottenere. Fateci caso: chi attacca il Jobs Act non ha la minima idea dei numeri del Jobs Act”. Perché Matteo Renzi in un assolato pomeriggio di agosto decida di tornare sul Jobs Act, con la malinconia tipica dei ragazzetti mai cresciuti che aspettano la prossima cena di classe non sappiamo.

“Creato un milione di posti di lavoro”. Firmato, il direttore del Riformista

Quello che sappiamo, a proposito di numeri, è che la “crescita dell’occupazione a tempo indeterminato” che seguì la promulgazione della legge delega – e degli otto decreti legislativi che ricadono sotto la denominazione del Jobs Act – fu dovuta soprattutto alla legge di stabilità 2015, che prevedeva la decontribuzione totale, per alcuni anni, per le imprese che assumevano lavoratori con contratti di lavoro stabili. Esauriti quegli incentivi (che mica per niente vennero chiamati “metadone di Stato”) il peso dei contratti a termine è tornato a crescere.

Sappiamo – lo ricordiamo al Renzi giornalista affinché magari lo suggerisca al Renzi politico – che la sentenza 194 della Corte Costituzionale nel 2018 ha di fatto smontato il sistema delle tuteli crescenti che aveva in mente Renzi. Poi nel 2020, la stessa Corte Costituzionale ha censurato il meccanismo di indennizzo per i licenziamenti illegittimi in caso di vizi formali e procedurali.

Poi nel 2021, dichiarando l’incostituzionalità della modifica apportata con la legge Fornero (92/2012) all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e infine nel 2022 chiedendo al legislatore di modificare la disciplina relativa all’indennità prevista per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese.

“Il Jobs Act, quindi ha consolidato le tendenze in corso ampliando la disparità di potere tra datore di lavoro e lavoratore, riportando indietro le lancette della storia fingendo di fare innovazione”: lo scriveva Susanna Camusso il 16 maggio di quest’anno. Sapete dove? Proprio su Il Riformista, quando ancora faceva il giornale.

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