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La cultura che manca anche sulla sicurezza nel lavoro

Ogni volta che un morto sul lavoro balza agli onori della cronaca per la quantità delle vittime o per la modalità del decesso (come nel caso della tragedia a Brandizzo che ha ucciso cinque lavoratori) si spande nell’aria il rito abusato del “mai più” e le promesse di accertamenti e la proposta di nuove leggi. Di solito mentre si svolge l’orazione funebre per le vittime che hanno avuto occasione di diventare un caso nazionale da qualche parte in Italia accade che intanto ne muoiano ancora e ancora e ancora. Morti minori, incidenti meno spettacolari, nessuna pagina nazionale.

Resta quindi la sensazione di un attivismo retorico che delega dal giorno dopo il tutto alla magistratura. La notizia riemergerà nelle fasi di indagini e negli eventuali pronunciamenti dei tribunali. Tutto scorrerà in maniera non dissimile da com’è sempre stato, in attesa del prossimo sdegno. 

Vittorio Malagutti sul quotidiano Domani racconta che nel miliardo e 300 milioni tagliati dal Pnrr a luglio dal ministro Fitto ci sarebbero 500 milioni anche per  l’Ermts, il sistema di gestione del traffico ferroviario che probabilmente potuto evitare l’incidente. È ovviamente solo un piccolo esempio di come la sicurezza sul lavoro e i suoi dispositivi siano un “di più” che spesso rimane nascosto tra le righe, trattato con la stessa sufficienza di un lagnoso obbligo burocratico. Che in Italia manchi una reale cultura della sicurezza sul lavoro lo ripetono da anni i vari esperti che vengono disturbati solo in caso di tragedia. Disturbarli anche nella fase di scrittura delle leggi e dei regolamenti sarebbe una prima ottima idea. 

Buon venerdì.

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