Alle 4 di mattina di un lunedì di settembre la saga di Matteo Messina Denaro è arrivata all’ultima puntata, tanto per confermarci che di lui e di quello che rappresenta si è capito poco o quasi niente dalle parti della politica e dei giornalisti esperti di mafia per un giorno.
Di Matteo Messina Denaro in questi otto mesi abbiamo saputo tutto quello che non ci serviva sapere
Da otto mesi, dalla cattura il 16 gennaio da parte del Ros dei Carabinieri, il capomafia era detenuto nel supercarcere di Costarelle a L’Aquila. Intorno a lui abbiamo assistito alla concimazione del mito. Di Matteo Messina Denaro sapevamo quasi tutto quello che non ci serviva sapere. Conosciamo le sua abitudini sessuali, i suoi gusti cinematografici e musicali, i triangoli amorosi che lo cingevano, la parabola del figliol prodigo con la figlia che s’è presa il suo cognome poco prima che morisse. Nei giorni scorsi alcuni commentatori si erano addirittura spesi sulla condanna che il boss aveva lanciato contro la Chiesa, rifiutando il funerale religioso. Decine di righe, pagine e commenti che si interrogavano sugli strali di Matteo Messina Denaro contro il Papa pittati su quattro pizzini sputati ritrovati nel suo covo.
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Matteo Messina Denaro è stato il protagonista perfetto per la fiction dell’antimafia che odia l’antimafia e che banalizza un sistema di potere in un sistema criminale da filmato di quart’ordine. Otto mesi in cui gli interrogativi sulla rete di protezione che gli ha consentito di essere latitante per così tanto tempo non sono mai entrati nel dibattito pubblico. Otto mesi in cui il dibattito televisivo e il dibattito politico si sono arenati sulle interviste accusatorie al fruttivendolo che, incautamente, gli vendeva le banane senza accorgersi che quel’Andrea Bonafede lì era “il capo dei capi”. L’impero economico, politico e solo dopo criminale di Matteo Messina Denaro è un capitale che si costruisce con l’illegalità – certo – ma soprattutto come le competenze. Chi sono i presunti talenti finanziari e politici che hanno permesso la crescita di una superpotenza sotterranea? Non si sa. Forse dovremmo accontentarci di sapere quali calamite avesse attaccate al frigorifero e stare bene così. Dove sono gli strumenti per tenere la contabilità e le comunicazioni necessarie per il funzionamento di tal sistema? Non si sa. «Queste cose io, qualora ce le avessi, non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità», ha dichiarato Messina Denaro ai magistrati della Procura di Palermo durante gli interrogatori.
L’”ultimo stragista” ci è stato consegnato in versione malata, stanca e arrendevole
Matteo Messina Denaro non ha parlato. Piovono oggi gli articoli di chi celebra la morte dell’ultimo mafioso dell’epoca stagista ma il non detto sotto traccia è che con Matteo Messina Denaro è morta la mafia. Ora ci aspettano i giorni delle cronache dei funerali a Castelvetrano dove la politica locale non vede l’ora di chiudere il capitolo, che non se ne parli più. Il fatto che dell’epoca stagista e degli anni bui italiani manchino ancora i mandanti pare una fissazione di qualche complottista. Fra i tanti segreti che il capomafia deceduto si è portato nella tomba c’è soprattutto quello riguardante l’archivio di Totò Riina, che secondo il pentito Nino Giuffré dopo la cattura del capo dei capi di Cosa nostra, nel gennaio del 1993, sarebbe stato consegnato al boss di Castelvetrano. L’allora giovane rampollo delle cosche trapanesi e il padrino corleonese erano molto legati. «Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte e quelle carte sono finite a Matteo Messina Denaro», ha affermato con convinzione il pentito Giuffré. Il testamento di Matteo Messina Denaro avrebbe dovuto essere il punto di svolta per chiarire la storia politica (oltre che mafiosa) di questo Paese ma l’arresto del boss è stato solo una passerella buona da rilanciare sui social. L’uomo “dai mille segreti” ci è stato consegnato in versione arrendevole, malata e stanca.
Lo Stato vincerà davvero contro la mafia quando farà luce sulle stragi
Mentre Matteo Messina Denaro moriva un ministro diceva pubblicamente che le intercettazioni non servono alle indagini di mafia «perché i mafiosi non parlano al telefono». Mentre Matteo Messina Denaro moriva un altro ministro della Repubblica sviliva il movimento antimafia attaccando «quello con la tonaca» (don Luigi Ciotti, fondatore di Libera) per qualche pugno di voti. Ora che Matteo Messina Denaro è morto useranno la ceralacca sulla loro “vittoria contro la mafia” fingendo di non sapere che la vittoria dello Stato starebbe nel fare luce sulle stragi, non nel festeggiare la morte di un esecutore. Muore Matteo Messina Denaro e festeggiano i mafiosi e con loro quelli che hanno sperato che non parlasse. Muore Matteo Messina Denaro e la normalizzazione è sempre più semplice da attuare.
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