Siamo in quei giorni in cui nauseabondo si annusa intorno l’odore dell’ipocrisia che cancella qualsiasi discussione, che annulla qualsiasi considerazione e che concorre ad aumentare la disaffezione verso la politica. I fatti sono noti, non vale nemmeno la pena di ripeterli. Anni dopo rispunta un video di una giudice malvista dal potere esecutivo poiché ha annullato di fatto gli effetti di un decreto del governo sui migranti. Non è questo ora che ci interessa: Iolanda Apostolico è semplicemente il nemico di turno di un filotto che già domani avrà qualcun altro nel mirino. Sembra che ci sia dimenticati in fretta di come funzioni la “Bestia” del Matteo Salvini che fu, quando Luca Morisi rintuzzava la brace degli elettori leghisti individuando un “nemico della Patria” al giorno. Possono essere giornalisti, intellettuali, cantanti, calciatori, insegnanti, impiegati e quindi anche giudici. L’eterogeneità degli avversari serve per dipingere un complotto vasto, infilato in tutti i campi e in tutte le professioni.
Che fine fa la privacy se un video di qualcuno di noi viene dato a un ministro?
Quello che è disgustosamente interessante nel dibattito di questi ultimi giorni è la composizione degli indignati contro la giudice catanese. Tolto Salvini e la sua pletora di salviniani (convinti di avere fatto lo “scoop”) ai rimestatori si sono aggiunti gli stessi che fino a un minuto prima rivendicavano il marchio di “garantisti doc”. Incredibile a dirsi: i liberali fautori del garantismo che ogni giorno indaga sulle indagini stavolta si sono fissati sul dito. A nessuno di loro è scappata una parola sui fotogrammi archiviati per anni con fini andreottiani. «Vengono sempre filmate le manifestazioni», dice qualcuno. Fingiamo di crederci. Dovremmo quindi credere che negli ultimi giorni qualcuno (chi? Pagato da chi? Dove? Perché?) abbia passato ore a spulciare nei cassetti delle manifestazioni di questi ultimi anni con un talento mnemonico e visivo fenomenale per estrarre il video dal cassetto? Anche se fosse, per i garantisti dovrebbe essere un delitto, no? Che fine fa la privacy se un video di qualcuno di noi viene dato a un ministro (che è stato di stanza dal Viminale) per agitarlo a fini politici?
25 agosto 2018, Catania, io ero Vicepremier e Ministro dell’Interno. L’estrema sinistra manifesta per chiedere lo sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti: la folla urla “assassini” e “animali” in faccia alla Polizia.
Mi sembra di vedere alcuni volti familiari…. pic.twitter.com/Khfy8mtV5o— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) October 5, 2023
Dunque X è il luogo in cui la politica si occupa della magistratura?
I garantisti doc rispondono: «È una questione politica». Perfetto. Qui ci sta un’altra considerazione: è X (l’ex Twitter) il luogo in cui la politica si occupa della magistratura? Basta saperlo. Così magari la Commissione Giustizia la usiamo per organizzarci altro, magari una bella festa a sorpresa. Fenomenale la voce di chi, membro del Senato ed ex presidente del Consiglio e proprietario di un partito, trova «scandaloso che un magistrato vada in piazza», mentre ciclicamente viaggia per fare da sponsor a un’autarchia emiratina (sì, è Matteo Renzi). È scandaloso manifestare per il rispetto dei diritti umani, ma non è scandaloso intascare lauti compensi per legittimare un Paese che taglia i giornalisti a pezzi. Dico, lo sentite il tanfo dell’ipocrisia?
Chi e a che titolo si è occupato della archiviazione di quelle riprese?
La strategia dei garantisti di casa nostra che garantiscono solo gli amici è banalissima. Secondo le tecniche più cretini dello “straw man argument” da giorni li ascoltiamo mentre ripetono in coro che «le riprese video rientrano nelle facoltà delle forze dell’ordine». La domanda sul tavolo è un’altra (chi e a che titolo si è occupato della loro archiviazione?), ma loro fingono di non sentirla. «Non mi sembra una gran notizia scoprire che un agente filmava», scriveva una giornalista che la mancanza di garantismo l’ha pagato sulla pelle della sua famiglia. È vero, la notizia infatti è tutt’altra: l’eventuale dossieraggio.
Le intercettazioni però erano considerate «invasione di campo»…
Qui torniamo al punto di partenza. In politica si possono sostenere tutte le posizioni, purché siano legittime e all’interno della Costituzione. Che qualcuno sia molto felice di un Paese che archivi i movimenti di ogni suo cittadino per garantire sicurezza è un’idea che liberamente qualsiasi leader di partito potrebbe proporre agli elettori e inserire nel suo programma elettorale (ci sarebbero dei seri problemi di Costituzione – è vero – ma ormai questo è un problema facilmente scavalcabile). Ma che gli stessi che da anni piagnucolano sulle intercettazioni come «invasione di campo» della magistratura per difendere i propri interessi e i propri amici (spesso sono la stessa cosa) ora gridino allo scandalo contro la persona e non contro la modalità è una giravolta oscena che inevitabilmente ha a che fare con la credibilità. Se avessimo anche noi i soldi e il tempo per pagare un topo d’archivio affinché collazioni i video e le dichiarazioni dei garantisti negli ultimi anni sottolineandone il farisaismo, c’è da scommettere che questi griderebbero alla schedatura. Gli si potrebbe chiedere: e quest’altra? Loro risponderebbero a un’altra domanda che nessuno gli ha posto.
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