Un caso studio della distrazione come metodo di governo e del concorso esterno in associazione distratta della stampa negli ultimi giorni. Della telefonata di due comici russi alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni ormai sappiamo tutto. Il duo Vovan-Lexus riesce a farsi passare come presidente dell’Unione africana e parla con la premier per alcuni minuti. Nel contenuto di quella telefonata c’è un punto sostanziale: Meloni sulla guerra in Ucraina sostiene le stesse tesi (quella di una risoluzione del conflitto che non può passare dalla vittoria degli ucraini che faticano nella loro controffensiva) di molti opinionisti, analisti e giornalisti. C’è una differenza sostanziale: chi si è permesso di dire o scrivere che la controffensiva ucraina fosse molto al di sotto delle più pessimistiche aspettative e chi ha chiesto una mediazione è stato bollato come fiancheggiatore, come putiniano, come pacifinto, come nemico della democrazia, come nemico dello Stato e un’altra decina di epiteti non ripetibili. Dopo quella telefonata la presidente Meloni avrebbe dovuto spiegare come possa ritenere in privato “di buon senso” ciò che in pubblico viene bollato come collaborazionismo con il nemico.
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Le due Meloni: quella al telefono e quella pubblica
Cosa è accaduto dopo? Andiamo per ordine. Il sottosegretario Mantovano ha detto che «Giorgia Meloni si è accorta subito dello scherzo». In pratica secondo Mantovano le redini dello sketch comico le teneva la presidente del Consiglio. Nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. Il vice presidente del Consiglio e segretario di Forza Italia, il ministro agli Esteri Antonio Tajani, ha parlato di «una superficialità da parte di chi ha organizzato la telefonata e questo non deve più accadere». Nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. I più spericolati hanno addirittura avuto il coraggio di dirci che Giorgia Meloni ha mantenuto le stesse posizioni che tiene in pubblico: secondo loro una premier che si lamenta di essere lasciata sola dall’Europa sarebbe «colei che ha regalato all’Italia autorevolezza internazionale» e la presidente che diceva «non abbiate paura di scommettere sulla vittoria dell’Ucraina» è la stessa che al telefono dice c’è «molta stanchezza» del conflitto, la controffensiva di Kyiv «non sta andando bene» e serve «una via d’uscita».
Le tesi della premier sono le stesse di coloro che il suo governo ha sempre bollato come pacifinti e filoputiniani
Poi, come spesso accade, il governo punta sul vittimismo. Decine di infuriati giornalisti raccontano che il duo russo è molto vicino a Putin, forse anche ai servizi segreti russi. Qualcuno scrive che la trappola telefonica rientrerebbe in una strategia di guerra a bassa intensità contro l’Europa e contro l’Italia. Osservazioni plausibile, certo, ma nessun’altra considerazione sul contenuto della conversazione. Così arriviamo a venerdì: Giorgia Meloni in conferenza stampa spiega che quella telefonata è stata «gestita con leggerezza che ha esposto la nazione». Ci si aspetterebbe una confessione o almeno un gesto di scuse verso coloro che da un anno sono stati lapidati. No, no. Per Meloni la leggerezza è di chi avrebbe dovuto verificare l’autenticità della telefonata e infatti annuncia le dimissioni del suo consigliere diplomatico Francesco Talò. Anzi Meloni spiega che «verso la fine della telefonata» ha anche «avuto un dubbio». «La telefonata», ha spiegato Meloni, «è stata rilanciata prima di tutto da programmi organici alla propaganda del Cremlino e questo dovrebbe indurre a riflettere chi sta facendo da megafono a questi comici che ieri in tv hanno detto di non avere legami con il Cremlino». Ma quella “stanchezza” per il conflitto in Ucraina? Qui arriva il colpo di genio. Meloni dice: «Non ho detto nulla di nuovo, io sono consapevole che le opinioni pubbliche, anche la nostra, soffrono per le conseguenze del conflitto. È un tema che ho segnalato a 360 gradi. Non sono un alieno per non capire che tra inflazione, prezzi delle materie prime…non ci siano conseguenze». È vero, non ha detto nulla di nuovo. Ha ripetuto ciò che qualche commentatore (a torto o a ragione, non è questo il punto) ha scritto venendo travolto dalla delegittimazione. Ha sostenuto la stessa tesi dei “pacifinti” che lei stessa e tutta la sua schiera hanno additato per mesi. Così per l’ennesima volta la comunicazione di crisi ha seguito l’itinerario dello sviamento ossessivo. Si è parlato di tutto tranne che del nocciolo della questione. E adesso basterà – come fanno spesso – dire «ma basta con questa storia, abbiamo già chiarito». Fino alla prossima distrazione.
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