Mancano due giorni all’uscita del libro di Giorgia Meloni che per confezionare l’orpello elettorale natalizio ha trovato la fedele collaborazione del giornalista Bruno Vespa. Il titolo (Il rancore e la speranza) cela al lettore l’ingrediente principale del composto che si può facilmente ritrovare in ogni parole, azione e omissione della presidente del Consiglio: il vittimismo.
L’ultima opera di Meloni infatti raggiunge un livello superiore di vittimismo sfidando i record battuti finora invadendo stavolta il campo della misogina. Scrive Meloni: “Quando leggo pezzi di rassegna stampa con Matteo e con Antonio Tajani, restiamo basiti. Capisco che alcuni giornali vogliono mandarci a casa: legittimo, ci mancherebbe. Quello che non è accettabile ed è estraneo a qualunque deontologia è mettere tra virgolette cose mai dette né pensate. Sa qual è la verità? Sono degli inguaribili misogini. Tentano di accreditare la tesi che la testa di una donna non può reggere di fronte alla pressione. Come quei legislatori che, fino a qualche decennio fa, ritenevano che le donne non potessero fare il magistrato perché, quando hanno il ciclo, non ragionano bene”.
La presidente del Consiglio al solito è ossessionata dal fatto che “legittimamente” (cara grazia) esista un’opposizione non disposta a incensarla di fronte alle sue mosse ma soprattutto utilizza la misoginia (elemento fondamentale della propaganda della sua maggioranza) come clava. Il governo che sogna le madri a casa a rassettare la cucina e sfornare figli denuncia la misoginia degli altri. Fantastico e prevedibile: è uno dei risultati scontati di confondere una leadership femminile con una leadership femminista.
Buon lunedì.