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Sul delitto Cecchettin si sgretola il mito sovranista della famiglia patriarcale

Per toccare con mano l’abisso del dibattito politico intorno all’ennesimo femminicida, Filippo Turetta, che ha ucciso la sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, si potrebbe partire da un post scritto sui social dal ministro alle Infrastrutture e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini che alla notizia dell’arresto del giovane fuggitivo in Germania ha scritto: “Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita”.

L’assassino di Giulia Cecchettin è bianco e di buona famiglia. Così nel mirino delle destre finisce la sorella della vittima

Che il leader della Lega si riscopra garantista di fronte a un maschio italiano bianco accusato degli stessi reati per cui solitamente invoca “il carcere a vita” non è sfuggito nemmeno alla sorella della vittima, Elena, che in questi giorni disturba una certa narrazione che la vorrebbe silenziosa e affranta: “Ministro dei trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta. Perché bianco, perché di ‘buona famiglia’. Anche questa è violenza, violenza di Stato”, scrive Elena in una storia su Instagram.

Il consigliere regionale veneto Stefano Valdegamberi, eletto nella lista Zaia e confluito nel gruppo Misto, invece, invita addirittura i magistrati a indagare sulla sorella di Giulia: Valdegamberi sostiene che le dichiarazioni di Elena e la sua lettera in cui accusa la cultura patriarcale “hanno sollevato dubbi e sospetti che spero i magistrati valutino attentamente. Mi sembra un messaggio ideologico, costruito ad hoc, pronto per la recita”. Esprime giudizi sulla sorella di Giulia: “Quella felpa con certi simboli satanici aiuta a capire molto”. E sostiene che da parte della ragazza ci sia “il tentativo di quasi giustificare l’omicida dando la responsabilità alla ‘società patriarcale’. Più che di società patriarcale dovremmo parlare di società satanista, cara ragazza. Sembra una che recita una parte di un qualcosa predeterminato e precostituito”.

Sempre di casa Lega è la deputata Simonetta Matone che ospite alla trasmissione Rai Domenica In ha detto: “Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali”. In sostanza secondo l’ex giudice ora parlamentare la colpa dei maschi violenti risiederebbe nelle loro madri pestate dai mariti. Anche in questo caso le vittime sono le donne, sempre loro. Come lei era ospite anche l’esponente di centrodestra Rita Dalla Chiesa: “Sconcerta che per discutere di una questione sulla quale serve la massima unità, la Rai decida di far parlare solo una parte, fornendo ancora una volta un cattivo esempio di pluralismo”, lamenta il Partito democratico mentre gli esponenti del M5S della commissione Vigilanza del servizio pubblico notano come sia “incredibile che a fronte dell’ennesimo brutale femminicidio, sul servizio pubblico non si sia stati in grado di affrontare il tema in maniera bilanciata, corretta e soprattutto veicolando i giusti messaggi”.

Ma che fa il governo? Mentre il Partito democratico attraverso la sua segretaria Elly Schlein propone di approvare “subito una legge che introduca l’educazione alla affettività in ogni classe” perché per “sradicare per davvero questa tossica cultura patriarcale bisogna partire prima che si radichi nei maschi”, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni annuncia di non avere intenzione di aprire nuovi tavoli per scrivere leggi diverse rispetto a quella già votata alla Camera e che in settimana arriva in Senato per il via libera definitivo. Nessuna legge sui corsi nelle scuole, dove secondo il governo basta l’iniziativa sulla violenza (incluso il bullismo) che è contemplata nell’ambito di una campagna informativa che sarà presentata a Palazzo Chigi insieme ai ministri Giuseppe Valditara, Eugenia Roccella e Gennaro Sangiuliano.

A oggi la reazione del governo si limita a un minuto di silenzio nelle scuole per ricordare Giulia Cecchettin (105esima vittima di femminicidio nel 2023) e un piano (dal titolo “educare alle relazioni” che il ministro Valditara annuncia che sarà presentato domani (“frutto di un lavoro accurato del ministero dell’Istruzione all’insegna di confronto ampio e di un pluralismo di rapporti”). Quali siano stati per ora non è dato saperlo. A oggi si sa che studenti, psicologi e centri anti-violenza contestano alcuni contenuti della proposta. Trovare una quadra non sarà facile. Nella lettera scritta ieri al Corriere della Sera la sorella di Giulia Cecchettin punta il dito contro comportamenti che richiederebbero una severa presa di coscienza da parte degli uomini: “Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è.

Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”, scrive Elena Cecchettin. “La cultura dello stupro – continua la sorella maggiore nella sua lettera – è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. E poi: “è responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista”. Osservando bene, a finire sotto accusa è proprio quello schema Dio-Patria-famiglia tradizionale su cui si basa la retorica del governo.

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