L’altro ieri 43 persone sono state recuperate sugli scogli di Capo Ponente, dalle motovedette della Capitaneria di porto e due giovani dai due pescatori lampedusani sulla costa di Muro Vecchio. I telegiornali ormai melonizzati fino al midollo hanno dato la notizia centrando il focus sul “salvataggio” ma dimenticandosi di dare risalto agli otto dispersi rimasti in fondo al mare. Tra di loro ci sarebbero stati due – forse tre – bambini. Non hanno potuto esimersi dal raccontare della morte di una bambina di un anno e otto mesi perché è spirata durante il trasbordo, complicando i piani della comunicazione liscia e ardimentosa.
Ieri un barchino è colato a picco a circa 28 miglia dalla costa durante la fase di trasbordo. Una donna di 26 anni, originaria della Costa d’Avorio, è morta. Quarantasei i migranti superstiti che sono stati recuperati dai militari della Guardia di finanza.
Spaventosa è la cura con cui ci si impegna a normalizzare l’orrore perché non attecchisca nella coscienza collettiva. Confidare nell’abitudine alla morte è da sempre il segreto della politica e dei poteri. Passano così in secondo piano le guerre (citofonare al presidente Zelensky che lo ripete da settimane), si depotenziano i decessi ciclici di poveri o di neri o di donne e ogni giorno la tolleranza al ribrezzo sposta l’etica qualche metro più in là. È uno scivolamento lento che ci rende ogni giorno peggiori senza averne consapevolezza, ingannati dalla sindrome della rana bollita. Finché non capita un ammazzamento o un naufragio sentito come troppo vicino per liberarsene in fretta. E poi si ricomincia di nuovo.
Buon mercoledì.
Nella foto: frame del video del salvataggio a Capo Ponente