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Regeni e il senso di giustizia

Era il 3 febbraio del 2016 e oggi è il 5 dicembre del 2023. Quanto dolore attivo serve per cercare giustizia attraverso due continenti, svariati governi e sette anni e mezzo in cui “tutto il male del mondo” che stava sul viso di Giulio Regeni è rimasto sotterrato dall’inezia (se non la complicità) di un’Italia bravissima a celebrare i morti e vigliacca nel restituire giustizia ai vivi. 

I quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni sono stati rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare di Roma. Eccola la svolta nell’inchiesta sulla morte del ricercatore italiano ucciso il 3 febbraio 2016 dopo esser stato sequestrato il 25 gennaio: a processo andranno Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abedal Sharif, accusati a vario titolo di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato. 

Il rinvio a giudizio dei quattro agenti dei servizi è stato possibile grazie alla sentenza della Corte Costituzionale emessa il 27 settembre scorso che consentiva il processo pur con gli imputati irreperibili, circostanza che la legge italiana invece impedisce perché senza la notifica degli atti processuali agli imputati non si può tenere alcun processo.

Quando la giustizia supera gli aspetti formali (che sono sostanziali) per perseguire la verità lo Stato appare immediatamente alleato e vicino. La riforma che serve, a cui dovrebbe pensare il ministro Nordio sta qua: fare il possibile, all’interno delle leggi, perché i rapporti di qualsiasi tipo (politici, economici, famigliari) non diventino un ostacolo. 

Buon martedì. 

Nella foto: la campagna di Amnesty Verità e giustizia per Giulio Regeni

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