Lorenzo De Cicco racconta su Repubblica il blitz di ieri da parte di una schiera di deputati leghisti che torna alle cosiddette gabbie salariali per premiare i dipendenti pubblici che lavorano al Nord, spacchettando l’unità nazionale in un Paese a due marce più di quanto già lo sia.
Nel mezzo della convulsa giornata parlamentare che ieri ha definitamente affossato il salario minimo l’ordine del giorno approvato impegna il governo a «valutare l’opportunità di prevedere con apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione del pubblico impiego». L’odg della Lega auspica «per alcuni settori, come ad esempio nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione», proponendo «una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività». Questo perché «lo stipendio unico nazionale», si legge, potrebbe «comportare diseguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo».
L’idea di legalizzare le disuguaglianze in nome dell’uguaglianza è un paradosso così bieco che perfino il ministro all’Istruzione Valditara ha dovuto, tempo fa, innescare la retromarcia chiedendo scusa a tutti. In fondo basta allungare un ordine del giorno nell’agitazione di una seduta parlamentare per insinuare lo stesso concetto senza bisogno di affrontare l’opinione pubblica e la stampa.
Gli Odg in Parlamento, lo sappiamo bene, non sono vincolanti. Continuo però a chiedermi cosa altro serva agli abitanti del sud Italia per avere coscienza della natura anti-meridionali della politica di Matteo Salvini, al di là delle felpe. E mi rimane il mistero.
Buon giovedì.
Nella foto: Matteo Salvini (governo.it)