Mercoledì scorso in Spagna il Consiglio dei ministri ha deciso: il Paese abbandonerà il nucleare entro il 2035. Dopo la Germania che ha spento i suoi ultimi reattori ad aprile di quest’anno, un altro grande Stato europeo decide di rinunciare alla tecnologia che il governo italiano vorrebbe invece introdurre.
Così l’esecutivo guidato dal premier socialista Pedro Sànchez ha approvato il settimo piano generale per i rifiuti radioattivi, che stabilisce la tabella di marcia per il trattamento dei residui pericolosi provenienti dalle centrali nucleari. Proprio questo piano, la cui approvazione arriva con otto anni di ritardo, è un passo indispensabile affinché la Spagna possa intraprendere la chiusura ordinata delle cinque centrali che ha ancora attive, che inizierà nel 2027 e sarà completata nel 2035.
La Spagna dice addio al nucleare: il piano per l’uscita
Questa chiusura comporta un complesso processo di smantellamento delle strutture e il successivo trattamento dei rifiuti radioattivi. Fino a questo momento la dismissione delle centrali era stata messa in stand-by perché non si sapeva con esattezza che fine avrebbero fatto le scorie prodotte con il loro smantellamento. Le cinque centrali attualmente attive coprono da sole il 20% circa di tutto il fabbisogno energetico del Paese e il programma del governo è quello di sostituire questa percentuale con fonti rinnovabili.
I rifiuti di bassissima, bassa e media attività andranno a El Cabril, il magazzino situato nella provincia di Córdoba, che dovrà essere ampliato. Le scorie dalla pericolosità maggiore invece verranno stoccate in sette depositi temporanei accanto alle centrali dismesse. La decisione è arrivata dopo anni di trattative e cambi di programma:i rifiuti rimarranno nei depositi temporanei fino al 2070 circa, quando – stando ai piani attuali – verrà realizzato un deposito geologico nazionale dove stoccare le scorie in maniera permanente. La gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti costeranno circa 20,2 miliardi di euro, che saranno pagati grazie a un apposito fondo sostenuto dagli operatori degli impianti.
Una scelta condivisa
L’abbandono del nucleare non è una sorpresa nella penisola iberica, dopo essere stato al centro del dibattito politico durante la recente campagna elettorale con i conservatori del Partito popolare che promettevano in caso di vittoria – non realizzata – di investire nello svecchiamento delle centrali nucleari esistenti. “Non possiamo scollegare il 21% dell’energia installata in Spagna senza avere un altro 21% in grado di funzionare con energia rinnovabile”, disse il leader del PP, Alberto Nunez Feijoo, immaginando che “il prezzo dell’energia aumenterà in modo esponenziale”.
Recentemente contro lo spegnimento delle centrali nucleari si era mosso anche Manuel Perez-Sala, presidente della lobby aziendale Circulo de Empresarios che invitava il governo a non tenere “posizioni ideologiche” e a ritardare la transizione.
In Italia il nucleare è invece sempre presente nei pensieri del ministro Gilberto Pichetto Fratin. Come ha sottolineato il Wwf, ancora oggi la bozza di aggiornamento del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC) continua a valorizzare gas naturale, biocombustibili e persino l’energia nucleare, “mostrandosi totalmente incoerente – scrive l’associazione – con gli obiettivi e le tempistiche della transizione energetica ed ecologica”.
Ieri un’indagine commissionata da Alleanza luce & gas, la energy company controllata da Coop Alleanza 3.0, ha evidenziato come l’80% degli intervistati considerano il futuro energetico dell’Italia legato alle energie rinnovabili e solo il 26% ritiene plausibile il rafforzamento del nucleare.
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