Quarantacinque anni fa Elena Improta nei giorni precedenti al travaglio decide di appoggiarsi per il parto nella clinica Villa Mafalda a Roma per sentirsi “più protetta” vista l’assenza del marito fuori città e la vicinanza alla casa dei suoi genitori. A Villa Mafalda lavorava anche il ginecologo ospedaliero di fiducia. Ma quando il 18 novembre 1989 arriva nella clinica il suo medico non c’è, finisce nelle mani – lo racconta lei nelle numerose interviste che in questi anni ha rilasciato – di un giovanissimo assistente. Il parto non fu facile. Fu chiamata d’urgenza l’ostetrica e la pediatra di Elena venne allontanata dalla sala. Maria subisce la manovra di Kristeller (una manovra ostetrica violenta eseguita durante il parto in contemporanea con la contrazione) perché il figlio, Mario, non usciva. Elena venne sedata e riportò danni al collo dell’utero.
Elena Improta deve pagare 300mila euro. La Onlus Oltre lo Sguardo da lei fondata a Orbetello rischia di chiudere
Il dolore però doveva ancora cominciare. Mario si presenta subito rigido, ipertonico e con spasmi. Le pediatre della clinica la tranquillizzano, consigliano massaggi per superare il trauma del parto. Poco dopo il bambino presenta crisi epilettiche. “Sono crisi affettive dovute alla sua ansia”, le dicono. Invece no, il figlio di Elena Improta non avrebbe mai parlato né camminato. Diagnosi: tetraparesi spastica. Le cause sono sconosciute. Non c’è nessuna patologia rara e nessuna malattia metabolica. Per Villa Mafalda potrebbe essere colpa di un’infezione contratta dalla madre mai rilevata. Gli specialisti invece confermano ragionevolmente un nesso tra il parto e la sofferenza ipossico ischemica, ovvero l’assenza di ossigeno.
La pensa diversamente il tribunale che dopo cinque gradi di giudizio e 27 anni ha condannato Elena Improta a pagare la mostruosa cifra di oltre 300mila euro di spese legali. Soldi che Elena Improta non ha e che mettono in pericolo anche il progetto del “dopo di noi” in cui Elena e Mario, insieme a altri disabili avevano trovato ristoro. Con la Onlus Oltre lo Sguardo a Orbetello nella Casa di Mario 8 o 9 persone disabili vivono in un sistema di residenzialità e semiresidenzialità, con un turnover di operatori che garantiscono percorsi assistenziali personalizzati in tre appartamenti. Quei 300mila euro costringerebbero Elena a vendere l’immobile per il risarcimento.
Il Pd chiede un fondo di garanzia a favore di chi soccombe nei giudizi per i danni durante il parto
Perciò oggi, alla Camera, Elena con Ilenia Malavasi e Marco Simiani (Pd) presentano una proposta di legge dal titolo ‘Istituzione di un Fondo di garanzia a beneficio delle parti soccombenti in giudizi relativi a danni subiti dal neonato a seguito del parto e impossibilitate al pagamento’. “Il nostro atto – spiegano Malavasi e Simiani – vuole colmare un paradosso normativo su cui il Parlamento è chiamato a riflettere e confrontarsi; occorrono norme e risorse per sostenere concretamente una famiglia che ha trovato la forza ed il coraggio di trasformare una drammatica vicenda personale in una progetto solidale di accoglienza, di inclusione e speranza rivolto alle altre persone con disabilità”.
Per i deputati “chi ritiene di aver subito un danno grave durante il parto non può aver paura di difendersi perché potrebbe essere costretto a pagare ingenti spese processuali (come accaduto ad Elena Improta) e le conseguenze non possono ricadere sul caregiver che si occupa non solo di suo figlio ma di tante famiglie in difficoltà”.
C’è una legge, la 112 del 2016, che propone per la prima volta un piano volto a garantire il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone affette da disabilità gravi. E, soprattutto, un piano per il supporto ai disabili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori. E forse c’è una giustizia da preservare, al di là della legge. Chissà se il Parlamento si unisce almeno sulla compassione.
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