“Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta (…) I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace (..)”. Se fosse l’inizio di un romanzo non sarebbe un giallo, poiché l’assassino in questo caso sarebbe chiaro fin dalle prime pagine. Se fosse un noir scommetto che qualcuno lo troverebbe troppo spinto. Probabilmente lo definirebbero distopico.
Ousmane Sylla, guineano di 22 anni, ha disegnato su un muro il suo volto e ha scritto questa frase su un muro nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma. Poi si è suicidato. Ha scritto su un muro perché nei buchi neri dei Cpr carta e penna sono tra le ultime cose che mancano. Prima manca il diritto alla salute, manca il diritto alla difesa legale, manca il diritto all’alimentazione, manca il diritto all’igiene personale, manca il diritto alla comunicazione con il mondo esterno nonostante non sia un carcere, manca il rispetto di un tot di diritti umani. Figuratevi carta e penna.
Per la rete Mai più lager – No ai Cpr Ousmane Sylla sarebbe la quarantesima vittima in un Cpr italiano. Ousmane ha avuto come ultima preoccupazione la destinazione del suo corpo, come carne, e il dolore della madre. Nient’altro. La sua persona – la sua identità – era già morta prima che si ammazzasse. Chissà quante esegesi di quel testamento se fosse stato il verso di un testo di una canzone di Sanremo.
Buon martedì.
Nella foto: il messaggio di Ousmane scritto sul muro (Mai più lager – No ai Cpr)
Per approfondire, il libro di Left Mai più, la vergogna italiana dei lager per immigrati