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Lo dicono loro che è un genocidio

L’ambasciata israeliana presso il Vaticano ieri se l’è presa con il segretario di quello Stato, Pietro Parolin, colpevole di aver affermato che l’operazione militare israeliana contro la popolazione palestinese di Gaza è «sproporzionata». Un piccolo inciso indispensabile prima di continuare: che la reazione di Israele sia sproporzionata lo pensano tutti coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, lo pensano perfino gli Usa che sull’eccesso di difesa hanno costruito la loro storia, lo pensa perfino il ministro Tajani che non trova più le parole per giustificare l’ingiustificabile, lo pensano perfino molti israeliani, lo dicono i 28.576 palestinesi ammazzati in maggioranza donne e bambini. Anche coloro che di solito ci vanno giù con la mano pesante nel “diritto alla difesa” sono attoniti dalla carneficina che il governo Netanyahu corre passare come giustizia. 

Andiamo avanti. Dice l’ambasciatore israeliano che bisognerebbe considerare “il quadro generale” perché “i civili di Gaza hanno anche partecipato attivamente all’invasione non provocata del 7 ottobre nel territorio israeliano, uccidendo, violentando e prendendo civili in ostaggio”. Per Israele “i civili sono tutti complici di Hamas”. 

Seguendo il nesso logico per cui non esista un palestinese innocente viene da capire che la controffensiva di Israele annunciata per stanare Hamas abbia come obiettivo tutti i civili di Gaza. È naturale credere quindi che ogni bambino e ogni donna e ogni uomo ammazzato non sia una vittima collaterale ma una missione compiuta. Sorge allora una domanda: cos’altro serve per chiamalo genocidio?

Buon giovedì.

Nella foto: frame di un video sulla tendopoli di Rafah

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