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Tra sciopero e mimose. Questo 8 marzo le donne si ribellano

Nell’anno 2024 la Giornata internazionale della donna (no, non è “la festa della donna” celebra l’8 marzo) con il governo più maschilista seppur a guida femminile si celebra con uno sciopero generale proclamato dalla maggior parte delle sigle sindacali italiane (Flc Cgil, Slai Cobas, Adl Cobas, Cobas Usb, Cobas Sub, Osp Faisa Cisal, Usi Cit, Clap, Si Cobas, Cub Trasporti, Uitrasporti, Usi 1912, Flaei Cisl e Uiltec Uil).

L’8 marzo, Giornata internazionale della donna, si celebrerà con uno sciopero generale proclamato dalla maggior parte delle sigle sindacali italiane

La discriminazione fa la forza, verrebbe da dire vedendo l’ombrello di tutti i sindacati italiani che decidono di scendere in piazza. A queste come ogni anno si aggiunge uno sciopero transfemminista promosso dal movimento “Non una di meno”, che invita le donne alla mobilitazione generale “contro la violenza patriarcale in tutte le sue forme”, per mettere in atto “un blocco della produzione e della riproduzione nelle case e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei supermercati e nei luoghi di consumo, nelle strade e nelle piazze, in ogni ambito della società. Perché se ci fermiamo noi si ferma il mondo”.

I sindacati di base, nei loro volantini, elencano varie motivazioni. Principalmente ricorrono: “Sciopero contro ogni forma di violenza fisica, psicologia e morale, contro ogni discriminazione salariale e di ruolo sui luoghi di lavoro e nelle istituzioni, ogni guerra e l’aumento delle spese militari e a favore di servizi pubblici di qualità, lavoro stabile, riconoscimento del lavoro di cura, aumenti salariali in rapporto al costo della vita, salute e sicurezza e stato sociale”. In sintesi: “Non donateci mimose”.

I sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) chiedono di scendere in piazza “per gridare il nostro dissenso ad ogni forma di sopraffazione contro le donne e contro le politiche familiste, razziste e nazionaliste di questo governo, che alimentano sfruttamento e violenza”. Per il sindacato serve scendere in piazza “per gridare il nostro dissenso ad ogni forma di sopraffazione contro le donne e contro le politiche familiste, razziste e nazionaliste di questo governo, che alimentano sfruttamento e violenza, lo sciopero è anche l’occasione per chiedere seri e urgenti provvedimenti”.

La mobilitazione proclamata da “Non una di meno” contro la violenza in tutte le sue forme

Le manifestanti sottolineano anche la continua scia di femminicidi che attraversa il Paese, “un fenomeno intollerabile per un Paese che si dichiara civile”, dicono. In effetti dopo la fiammata di dibattito che ha seguito la morte di Giulia Cecchettin l’emergenza condivisa dall’arco parlamentare sembra essersi affievolita. Il dibattito si è fermato ma le morti no: dall’inizio dell’anno sono già 9 le vittime dei loro mariti, compagni o ex. Qualche giorno fa l’Istat nel suo rapporto “Analisi dei divari di genere del mercato del lavoro e nel sistema previdenziale” ha evidenziato che la parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontana e la necessità di conciliare vita professionale e familiare (e quindi l’uso dei relativi strumenti) rimane legata a una dimensione culturale prettamente femminile.

Nel 2022 a retribuzione femminile media nel settore privato si attesta sui 16.300 euro contro 24.500 euro annui percepiti dagli uomini. Una differenza del 40% che, anche a parità di condizioni (età, contratti, ore lavorate), non si azzera mai e arriva a un 12-13% stabile. Nel settore pubblico il gap si riduce, ma persiste; per le donne la retribuzione è di 28.400 euro annui contro i 33.600 euro annui dei maschi. Questo divario è dovuto al sempre più frequente ricorso nelle Pa dei contratti brevi, soprattutto nella scuola e nella sanità, dove la maggioranza degli occupati è di sesso femminile.

La festa della donna ai tempi del patriarcato. E del governo più maschilista della storia

Inoltre, le donne dirigenti con meno di 40 anni guadagnano in media 65.000 euro, a fronte dei quasi 103.000 degli uomini. Giorgia Meloni con il suo governo a oggi si è dimostrata sicuramente femminile ma molto poco femminista. Non resta che sperare nel regolamento adottato dal Consiglio europeo per combattere le discriminazioni retributive, che ogni Stato membro dovrà recepire entro il 2026.

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